In Italia il consumo di suolo avanza a ritmi ancora troppo elevati

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L’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) ha pubblicato l’undicesimo Rapporto sul consumo di suolo in Italia. La buona notizia è che l’incremento lordo di consumo di suolo dell’ultimo anno è diminuito, passando dagli 8.500 ettari cementificati nel periodo 2021-2022 ai 7.254 del periodo 2022-2023. La brutta notizia è che il nuovo cemento continua a trasformare il territorio dello Stivale con velocità ancora troppo elevate. Le nuove coperture artificiali hanno infatti riguardato altri 72,5 chilometri quadrati di suolo, in media, quasi 20 ettari al giorno. Un valore decisamente esagerato per un Paese con un alto rischio idrogeologico e con una densità abitativa stabile e spesso persino in calo. Un incremento, come anticipato, inferiore rispetto alla valutazione precedente, ma decisamente al di sopra della della media dell’ultimo decennio (2012-2022), pari a 68,7 chilometri quadrati annuali.

“Il nostro Paese, nell’ultimo anno monitorato – si precisa inoltre nel Rapporto – ha perso suolo al ritmo di 2,3 metri quadrati ogni secondo. Una crescita delle superfici artificiali solo in piccola parte compensata dal ripristino di aree naturali, pari a poco più di 8 km2, dovuti al passaggio da suolo consumato a suolo non consumato. Un valore ancora del tutto insufficiente per raggiungere l’obiettivo di azzeramento del consumo di suolo netto, che, negli ultimi dodici mesi, è invece risultato pari a 64,4 km2″. Se la velocità di trasformazione rimanesse pari a quella attuale anche nei prossimi anni, il nuovo consumo di suolo sarebbe anzi pari a 1.739 km2 tra il 2023 e il 2050. A livello regionale, i valori percentuali più elevati rimangono quelli della Lombardia (12,19%), del Veneto (11,86%) e della Campania (10,57%), seguono Emilia-Romagna, Puglia, Lazio, Friuli-Venezia Giulia e Liguria, con valori sopra la media nazionale e compresi tra il 7 e il 9%. La Valle d’Aosta è invece ancora la regione con la percentuale più bassa (2,16%). Gli incrementi maggiori rispetto alla valutazione precedente vedono al primo posto il Veneto (+891 ettari), seguono Emilia-Romagna (+815), Lombardia (+780), Campania (+643) e Piemonte (+553). In termini di consumo di suolo netto, degno di nota è invece il primato dell’Emilia-Romagna (735 ettari nel 2023), regione recentemente vittima di gravi alluvioni aggravate proprio dall’eccessiva cementificazione, nonché seconda per consumo di suolo lordo (815 ettari) dietro al Veneto (891 ettari). È bene precisare che il consumo di suolo lordo indica la quantità totale di suolo trasformato in copertura artificiale, mentre il valore netto è riferito al risultato del bilancio tra il consumo lordo e le azioni di ripristino di suolo consumato.

A livello provinciale, in termini di rapporto tra aree urbanizzate e area totale, i valori più allarmanti li registrano Monza-Brianza (41%), Milano (32%), Napoli (35%) e Trieste (21%). Situazione analoga scendendo al livello comunale, la quale rimane particolarmente grave, specie in Campania, dove si hanno Comuni con oltre il 90% di superficie impermeabile (Casavatore). In Lombardia Lissone arriva circa al 71,5% e Sesto San Giovani al 70%, in Emilia-Romagna Cattolica è al 62,5% e in Abruzzo Pescara al 52%. Nel corso delle rilevazioni nel periodo 2022-2023, i comuni di Uta (Cagliari), Ravenna e Roma hanno registrato i livelli più elevati di consumo di suolo, sebbene la Capitale abbia registrato un calo significativo rispetto al periodo 2021-2022. “Tra il 2006 e il 2023 – si legge nel documento riguardo le cause di tale consumo – sono stati impermeabilizzati 1.332 km2 di suolo naturale o seminaturale perlopiù a causa dell’espansione urbana e delle sue trasformazioni collaterali, con una tendenza all’accelerazione negli ultimi sei anni rispetto al resto del periodo di rilevazione”. Guardando alle singole classi, sempre sul periodo 2006-2023, il consumo permanente rappresenta il 36,1% del totale, con una prevalenza di edifici (16%) e strade e piazzali in asfalto e cemento, le quali superano, nel complesso, di circa 11 km2 le superfici impegnate per la costruzione di nuovi edifici. I pannelli fotovoltaici a terra, con +161 km2, rappresentano poi una porzione importante del nuovo suolo consumato reversibile. Al riguardo, l’aggiornamento 2024 del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) prevede che, entro il 2030, l’Italia aumenti la propria capacità da fotovoltaico di 57 Gigawatt, enfatizzando però lo sfruttamento delle superfici già urbanizzate, proprio per evitare ulteriore consumo di suolo. Un’analisi basata sui dati ISPRA 2023 stima che la superficie disponibile per impianti fotovoltaici, esclusi i centri storici e altre aree vincolate, varia tra 760 e 992 km2, il che basterebbe a coprire l’intero aumento previsto dal PNIEC entro la fine del decennio.

Paradossale inoltre il continuo consumo di suolo in aree a pericolosità idraulica (+1.108 ettari in media pericolosità), in aree a pericolosità di frana (+37,7 ettari in aree a pericolosità di frana molto elevata, +79,2 in aree a elevata pericolosità e +146,5 in aree a media pericolosità). In definitiva, allo stato attuale, il suolo consumato nel Belpaese copre il 7,16% del territorio (7,26% al netto della superficie dei corpi idrici permanenti) con valori in crescita continua. Il tutto a spese degli ecosistemi, della biodiversità e della sicurezza e della salute pubblica. Maggiore cemento significa infatti frammentare gli habitat naturali, andando a ridurre la capacità delle specie di muoversi e disperdersi, nonché una minor capacità di assorbimento dell’acqua e, quindi, un più elevato rischio in caso di alluvioni. Significa inoltre amplificare l’effetto isola di calore urbana, a spese della qualità della vita e della salute di milioni di cittadini sempre più esposti a frequenti ed intense ondate di caldo estremo. Il risultato è una perdita di servizi ecosistemi, ovvero di tutti quei benefici che le società umane ricavano dall’ambiente naturale. “La stima dei costi totali della perdita del flusso annuale di servizi ecosistemici – spiegano da ISPRA – varia da un minimo di 8,22 a un massimo di 10,06 miliardi di euro, persi ogni anno a causa del consumo di suolo avvenuto tra il 2006 e il 2023, mentre nell’ultimo anno si stima una perdita del flusso di servizi ecosistemici che varia da un minimo di 410 a un massimo di 501 milioni di euro l’anno. In entrambi gli intervalli di tempo il valore più alto di perdita è associato al servizio di regolazione del regime idrologico, ovvero all’aumento del deflusso superficiale prodotto dal consumo di suolo”.

[di Simone Valeri]

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