Un viaggio tra le discriminazioni quello che Jennifer Rowe si è trovata a fare per lavoro, munita di tiralatte per evitare una mastite. Ad ogni tappa qualcuno le ha chiesto dove avesse lasciato i suoi bambini, come fosse una sprovveduta e non una donna in equilibrio tra lavoro e genitorialità.
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Jennifer Rowe è una donna che ha raccontato in un lungo articolo, cosa significa essere una mamma lavoratrice che parte, senza i suoi figli, per una trasferta, con il tiralatte in valigia per evitare il rischio di mastite o di occlusione dei dotti.
Il suo viaggio in aereo è stato costellato da giudizi non richiesti da parte degli agenti di polizia che si sono occupati di verificare cosa portasse nelle sue borse e da parte degli assistenti di volo che non si sono dimostrati poi tanto aperti riguardo al suo bisogno di tirare il latte.
Il viaggio aereo tra le discriminazioni
“Sembra che il mondo si aspetti da noi mamme che lavoriamo come se non avessimo figli e che li cresciamo come se non lavorassimo” sono queste le parole di Jennifer Rowe, una donna che nella vita fa la dirigente nel settore del fitness ma che, alle pagine dell’Huffpost, ha raccontato in un lungo articolo la sua terribile esperienza quando si è imbarcata per il primo volo di lavoro, senza i figli.
La donna ha spiegato di adorare partire preparata per ogni esperienza, e di essersi dunque a lungo documentata, prima di partire per la sua prima trasferta di lavoro lasciando a casa il suo bebè e il bimbo più grande di 4 anni, con il papà.
“Mi sono sentita in colpa, adoro il mio lavoro ma sapevo di lasciare i miei bimbi per 4 giorni da soli con il papà, temevo anche di non aver tirato abbastanza latte per il mio bebè” ha raccontato lei nell’articolo, spiegando che alternava questi sentimenti ad un forte desiderio di partire e staccare un po’ la spina dalle incombenze genitoriali per dedicarsi in toto al lavoro.
La mamma dunque ha spiegato di aver preparato, come le linee guida della compagnia aerea specificavano, sia un bagaglio a mano che un bagaglio contenente tutto il necessario per potersi tirare il latte.
Ma ancor prima di superare i primi controlli è stata fermata da un agente della polizia che ha deciso di perquisirla chiedendole cosa fosse la cosa che portava al collo. Alla risposta di lei: “È il mio tiralatte”, l’agente senza farsi troppi scrupoli le ha risposto: “Ah sì, e lei cosa fa, parte senza il suo bambino?”.
Una domanda fatta con un sorriso sulle labbra, che in lei ha riaperto una voragine, quella che spesso tornava per risucchiarla, facendole dimenticare l’entusiasmo per le cose della vita che aveva sempre apprezzato e ripetendole che le sue scelte erano quelle di una pessima madre.
“Mi sono chiesta perché nessuno avesse scritto un libro che prepara le donne a gestire i giudizi non richiesti degli altri sulle proprie decisioni di madri” ha raccontato lei all’Huffpost, dicendo di essere rimasta tanto spiazzata dalle parole dell’agente da non essere riuscita a rispondere.
La donna racconta di aver pensato tutto il tempo, guardando chi le stava attorno, che avrebbe voluto gridare loro che il suo bambino era in buone mani, ma che lei doveva fare questo viaggio di lavoro, per la sua carriera e per se stessa.
Superati i controlli e arrivata al gate, ci sarebbe dovuta essere una lounges dove le mamme potevano allattare e lei tirarsi il latte, lontana da occhi indiscreti, ma era chiusa e c’era scritto che le donne che ne avessero avuto bisogno sarebbero potute andare in bagno. “Non volevo tirare il latte in bagno, così mi sono messa in fila pronta per l’imbarco”.
Qui nuovamente un episodio poco piacevole, la hostess le ha detto che poteva portare sull’aereo solo un bagaglio, mentre lei aveva due borse. “Qui c’è il mio kit per tirare il latte e io ho scelto questa compagnia aerea proprio per la policy per la quale può essere portato a bordo oltre al bagaglio a mano”. Neanche il tempo di concludere la frase che la hostess l’ha incalzata: “Ah sì, e dov’è il suo bambino scusi?”. Questa volta la mamma ha cercato di spiegarsi, causando però l’impazienza della hostess e di tutti gli altri passeggeri in fila. Rassegnata ha imbarcato il bagaglio a mano, per poter tenere con lei il tiralatte.
Dopo 7 ore di volo, arrivata in hotel non vedeva l’ora di poter finalmente tirare il suo latte, preoccupata sia per la salute del suo seno che per il fatto che, diminuendo le volte in cui se lo sarebbe tirata, non ne avrebbe poi prodotto a sufficienza per suo figlio. Ma la stanza non era pronta per il check in e dalla reception le hanno detto di accomodarsi nella hall, allora lei ha mostrato le macchie che sulla maglietta segnalavano la sua esigenza di tirare il latte e ancora una volta da dietro il computer della segreteria è arrivato per lei: “Ah scusi non avevo capito, mi sembra di non vedere suo figlio”.
I 4 giorni di trasferta si sono conclusi ed è forse inutile dire, come racconta Rowe all'Huffpost, che molto simile in fatto di discriminazione è stato anche il suo viaggio aereo di ritorno, quando increduli gli agenti di viaggio hanno aperto il suo bagaglio per ispezionare le sacche piene di latte, rovesciandogliene due.
“La verità è che basta un viaggio per lavoro, senza i propri figli, ma muniti di tiralatte, perché si desidera allattare, per capire che il nostro Pianeta non riesca a non giudicare le donne ed in particolare le mamme lavoratrici. Siamo sbagliate se lasciamo il nostro lavoro per dedicarci ai figli e ancora di più se lavoriamo osando delegare al partner, per qualche giorno, la loro cura”.