La linea non cambia, restano a Palazzo Chigi tutte le deleghe che la premier Giorgia Meloni aveva deciso di concentrare sin dal suo insediamento alla guida del Governo, affidandone la responsabilità all'ex ministro Raffaele Fitto. Lo ha ribadito ieri la stessa Meloni annunciando però di avere tenuto per sé la delega al Sud che dall'avvio della legislatura era stata affidata al fresco vicepresidente della Commissione europea insieme a quelle agli Affari europei, al Pnrr e alla Politica di Coesione, passate al neoministro piacentino Foti. Si rafforza dunque la strategia che aveva ispirato la scelta iniziale della stessa Meloni, convinta come Fitto che coordinare in una sola sede - Palazzo Chigi appunto -, tutti i più importanti programmi di spesa, in gran parte destinati a ridurre il divario del Mezzogiorno, fosse l'unica alternativa possibile ai ritardi di spesa e alle sovrapposizioni di progetti e di finanziamenti. Scelta che si è ulteriormente concretizzata con il Pnrr e la sua rimodulazione, diventando di fatto anche l'esempio di un modello di governance che la stessa UE ha subito condiviso e che quasi certamente ispirerà anche il cammino a breve e medio termine della Commissione presieduta da Ursula von der Leyen.
MOTORE DELLA CRESCITA
La premier "titolare" del Sud è un segnale non solo politico rilevante. Ieri in Consiglio dei ministri, Meloni ha spiegato che avere tenuto per sé questa delega vuol dire continuare a svolgere un ruolo attivo per il sostegno del "cambio di paradigma" del Mezzogiorno, come lei stessa ha più volte sottolineato in questi mesi alla luce di dati ufficiali (Pil, export, occupazione) superiori alle medie nazionali. Il Sud "motore della crescita" nel 2023 e anche quest'anno capace di portare il suo Prodotto interno lordo oltre la media nazionale, nonostante il rallentamento dell'economia del Paese (lo ha calcolato il Rapporto Svimez 2024) è ormai un punto obbligato di riferimento per il Governo. E Meloni se ne rende interprete annunciando «una ricognizione per il rilancio del Mezzogiorno all'interno del Governo stesso come si apprende da fonti di Palazzo Chigi in merito a quanto già realizzato per rafforzare lo sviluppo del Mezzogiorno, ai programmi in atto e alle proposte ancora da implementare, in particolare su incentivi, infrastrutture e investimenti».
LA RICOGNIZIONE
È la conferma che il Governo crede alle ulteriori possibilità di crescita del Mezzogiorno nell'interesse del sistema Paese, dal momento che la riduzione dei divari non può che produrre effetti benefici anche al Centro e al Settentrione. Un obiettivo che anche gli ultimi, per tanti versi clamorosi dati sugli investimenti autorizzati da Palazzo Chigi con la Zes unica (401 solo nel 2024, con oltre 2,3 miliardi di finanziamenti complessivi e circa 7400 nuove unità lavorative) autorizzano a rendere credibile. La "ricognizione" con i singoli ministeri ha anche il significato di verificare a che punto è l'applicazione della riserva di legge del 40% al Sud delle risorse del Pnrr e più in generale lo stato di attuazione degli interventi più complessi che, ovviamente, riguardano soprattutto le infrastrutture della mobilità (dal Ponte sullo Stretto alle tratte ferroviarie ad Alta capacità/velocità Napoli-Bari, che sarà completata entro il 2026, Salerno-Reggio Calabria, per la quale sono in coso i primi due lotti e che potrebbe terminare entro il 2029, e la Palermo-Messina-Catania, anch'essa appena iniziata). Dalla supervisione di Meloni in chiave Sud potrebbe anche dipendere un ragionamento più ampio sulla disponibilità di risorse per il Mezzogiorno atteso che lo stesso Fitto aveva annunciato una verifica in tal senso nei mesi scorsi per capire se bisogna rimodulare qualcosa anche in questo senso per rispettare i tempi di spesa (e di rendicontazione) previsti dal Pnrr.
GLI INCENTIVI
Lo stesso vale per il capitolo incentivi, decisivi finora per spingere l'economia meridionale e per i quali si prevede già adesso un cambio di rotta considerata, ad esempio, la rinuncia nella legge di Bilancio alla Decontribuzione Sud. Una decisione mal digerita finora dal sistema delle imprese ma che, di fatto, riduce gli oneri per la finanza pubblica di ben 16 miliardi di euro, riassegnandone 11 tra Credito d'imposta della Zes unica e Fondo per l'acquisto di macchinari riservato solo al Sud. L'obiettivo di riunire tutte «le misure agevolative di natura negoziale all'interno di un unico centro decisionale, che sia responsabile del complesso delle politiche, anche infrastrutturali, per la coesione», come scrive Ferdinando Ferrara su "La Voce.info", resta l'architrave di questa strategia, in attesa di capire se anche i Contatti di sviluppo attualmente di competenza del ministero delle Imprese e del made in Italy vi potranno rientrare. Rafforzare lo sviluppo del Mezzogiorno di sicuro si è rivelata una decisione logica e soprattutto coerente con quanto è accaduto in seguito all'invasione russa dell'Ucraina. Il nuovo asse della politica europea, e on solo in termini di approvvigionamenti energetici, è diventato Sud-Nord, non più Est-Ovest, con il Mediterraneo sempre più entrale per unire l'Europa all'Africa.
IL RUOLO NEL MEDITERRANEO
È nel Mezzogiorno che si gioca la partita delle rinnovabili, delle grandi condotte energetiche sottomarine che collegheranno i due continenti, della formazione dei giovani africani, attraverso il Piano Mattei. Non sono sfide che cadono, peraltro in un deserto industriale o che devono fare i conti con una PA balbettante o inadeguata: il Mezzogiorno visto all'opera con i Comuni per il Pnrr ha dimostrato di poter reggere un urto non semplice sotto il profilo dei tempi di spesa (brevi) e delle competenze (nuove), garantendo la quasi totalità di aggiudicazione delle gare. Ecco perché insistere, come ha deciso la premier, era una scelta obbligata e auspicabile.