Un fermo illegittimo perché illegittimo è affermare che i soccorsi debbano essere autorizzati dallo Stato di bandiera. Un fermo illegittimo perché incostituzionale è il decreto Piantedosi che lo ha permesso.
È questa la chiave del ricorso presentato da Mare Jonio di Mediterranea Saving Humans contro l’ultimo stop imposto alla nave, che per il governo rischia di essere un nuovo grattacapo giudiziario da risolvere.
Il provvedimento di blocco è arrivato il 15 ottobre scorso, dopo lo sbarco a Porto Empedocle. Una missione particolarmente delicata, portata a termine proprio mentre la Libra per la prima volta faceva rotta verso l’hotspot di Shengjin, e che ha permesso di portare in salvo 58 bengalesi ed egiziani, che navigavano su una bagnarola in mezzo al mare.
Per le autorità italiane non dovevano farlo e non perché – come giù contestato in passato ad altre navi in base alla legge Piantedosi – avevano già un porto sicuro assegnato o avevano già fatto troppi salvataggi. Alla Mare Jonio – spiegano le legali Lucia Gennari, Cristina Laura Cecchini e Giulia Crescini – si contesta anche solo la possibilità di fare un unico salvataggio.
A detta del Viminale, la nave di Mediterranea Saving Humans avrebbe operato “in difformità delle certificazioni e ai documenti rilasciati dalle competenti autorità dello Stato di bandiera”, e avrebbe “sistematicamente svolto una pluralità di interventi di soccorso e trasporto di un numero considerevole per volta di persone di volta in volta autonomamente e volontariamente oggetto di ricerca, soccorso e trasporto”.
Un’attività, si legge nel fermo, per la quale Mare Jonio non avrebbe “certificazione di idoneità e delle relative dotazioni, equipaggiamenti, strutture (bordo libero) e procedure (istruzioni al Comandante per la determinazione della stabilità), ai fini della sicurezza della navigazione e della salvaguardia della vita in mare”. In realtà era stata proprio la Guardia costiera, dopo un’ispezione della ‘squadra anti ong’, a ordinare di sbarcare parte degli equipaggiamenti.
Dalla sua, ricordano, Mare Jonio ha una certificazione Rina che identifica la nave come “particolarmente equipaggiata per il soccorso” e di certo la Guardia Costiera non può affermare di non sapere la natura della missione della nave ong: sono loro a dare luce verde a ogni imbarcazione che lasci un porto, obbligata a dichiarare rotta e intenti.
Quelli di Mare Jonio sono sempre stati – e come tali indicati anche nei contratti – “di attività di osservazione e tutela dei diritti fondamentali nel Mediterraneo centrale, dunque per lo svolgimento di attività di natura umanitaria”.
Ma il passaggio più delicato – e più scivoloso per il governo – è quello in cui il Viminale ha finito per mettere in discussione le precedenti missioni e attività dell’ong. Quelle contestazioni, si legge nel ricorso, non sembrano “riguardare la concreta condotta del comandante ma, in modo completamente illegittimo e contrario alla giurisprudenza delle alte corti domestiche e internazionali, condotte pregresse (tenute da altri comandanti) o imputabili al solo armatore, peraltro anch'esse assolutamente coerenti con le norme vigenti”.
A non esserlo, sostengono, sarebbe la legge Piantedosi perché “l'applicazione di tale norma, nei fatti, finisce per subordinare lo svolgimento di un'attività obbligatoria (prestare assistenza in mare) al possesso di una sorta di “autorizzazione”. Per le legali di Mediterranea, si tratta di una “totale distorsione del senso e della ratio delle norme interne e internazionali sulla tutela della vita in mare e sui corrispettivi obblighi in materia incombenti sui comandanti e sugli Stati”, per altro “in aperto contrasto con la giurisprudenza del Consiglio di Stato e della Corte di Giustizia Ue".
Questioni su cui adesso toccherà ai giudici pronunciarsi, mentre Mare Jonio si dice pronta a dare battaglia. “In questa continua persecuzione amministrativa contro la nostra nave i nostri legali giustamente ravvisano un attacco autoritario ai diritti costituzionali della nostra associazione e alla nostra legittima attività umanitaria", dice la presidente della ong Laura Marmorale. E non è l’unico terreno su cui Mediterranea Saving Humans si dica pronta a dare battaglia.
Un secondo ricorso presentato al Tar del Lazio inoltre chiede l'annullamento di tutti i provvedimenti che hanno giustificato “in maniera strumentale e pretestuosa, il diniego da parte delle Autorità marittime della certificazione della Mare Jonio come "nave da soccorso" e l'ordine illegittimo di sbarcare le "attrezzature di salvataggio”.