Quarantotto ragazzini tutti a bordo di un canotto sgonfio, seduti stretti sui tubolari e con i piedi in acqua. Quarantotto ragazzini che probabilmente non sarebbero arrivati mai da nessuna parte. “Il 90 per cento dei naufraghi sono minori non accompagnati” fa sapere Ocean Viking, la nave di Sos Méditerranée, che li ha soccorsi. La nave dell’ong francese è intervenuta dopo una segnalazione radio partita da un aereo Nato che sorvolava la zona Sar di competenza libica.
Quando i soccorsi sono arrivati, il gommone, piccolissimo, nero e quasi indistinguibile fra le onde, era già sgonfio. Distribuzione dei giubbotti di salvataggio, poi il passaggio sulle lance dell’ong, l’operazione era ormai al termine, quando sulla scena è arrivata a tutta velocità una motovedetta libica. Ha iniziato a girare attorno ai rhib (le piccole imbarcazioni dei soccorsi), sollevando onde altissime che li hanno fatti ondeggiare pericolosamente. A bordo, i naufraghi terrorizzati e paralizzati: essere riportato in Libia è l’incubo peggiore per chi è disposto ad attraversare il mare anche su una carretta pur di allontanarsi da quell’inferno di torture e detenzioni arbitrarie. Solo grazie all’ormai consolidata esperienza i team sono riusciti a tornare alla nave madre e portare a bordo i naufraghi.
“Nonostante l'inutile tensione, le squadre di soccorso hanno portato tutti in salvo a bordo di Ocean Viking”, fanno sapere dalla nave, che adesso è “condannata” a un altro lungo viaggio. Per il Viminale, il porto sicuro più vicino disponibile è Ravenna, a 1575 km di distanza. “Servono altri 4 giorni per raggiungerlo e 4 giorni per tornare in zona operazioni, dove c'è bisogno di noi. La prassi dei porti lontani svuota il Mediterraneo di mezzi di soccorso e causa sofferenze inutili”, dicono da bordo.
I precedenti
Negli ultimi due anni diverse operazioni di soccorso sono state interrotte o disturbate dall’intervento della Guardia costiera di Tripoli, che più volte ha scatenato il panico, con i naufraghi che, terrorizzati si sono lanciati in acqua pur di fuggire da chi li avrebbe riportati indietro. In più di un’occasione, dalle motovedette sono arrivati anche spari e minacce. È successo anche alla Ocean Viking il 25 marzo del 2023, più volte a Geo Barents di Msf, Humanity1 di SosHumanity, Mare Jonio di Mediterranea, Sea Watch5 di Sea Watch, Sea Eye. Mai da Roma nessuno è intervenuto a tutela degli equipaggi delle navi umanitarie, al contrario spesso fermate allo sbarco, con provvedimento nella maggior parte dei casi poi annullato dai giudici.
La Sea Watch5
Anche a Sea Watch5, che ieri ha sbarcato a Palermo tutti i naufraghi soccorsi, era stato assegnato Ravenna come porto di sbarco. Ma dalla nave hanno segnalato con preoccupazione alla procura per i minorenni di Palermo la presenza a bordo di minori, le cui condizioni psicofisiche, già precarie dopo una traversata pericolosa su una carretta del mare, avrebbero potuto essere pregiudicate da un ulteriore viaggio così lungo. E i magistrati non hanno potuto fare altro che chiedere quello che leggi e convenzioni nazionali e internazionali impongono: chiedere lo sbarco.
È stata la pietruzza che ha inceppato l’ingranaggio del decreto Piantedosi, da quasi due anni usato per spedire le navi ong a migliaia di chilometri di distanza dopo un solo salvataggio. Insieme ai minori a Palermo sono sbarcati i casi sanitari che necessitavano di immediata assistenza e i fragili. Dopo 24 ore di braccio di ferro, anche gli ultimi 32 rimasti a bordo hanno toccato terra. “Il diritto internazionale, che prevede lo sbarco immediato delle persone soccorse nel porto sicuro più vicino, è stato rispettato – hanno commentato ieri dall’ong tedesca - Quella che dovrebbe essere la norma è ormai una rara eccezione”.