"Rallenta la crescita in Italia".
All'appuntamento con il rapporto per le previsioni economiche di autunno il centro studi di Confindustria ha limato al ribasso le sue stime per il Pil 2024, di un decimo di punto percentuale al +0,8%, e per il Pil 2025, di due decimi di punto percentuale allo 0,9%. Incide l'effetto che le revisioni Istat sul Pil 2023 hanno sull'eredità statistica per il 2024.
La crescita del il 2024 "viene dai servizi" mentre sono "in calo tutti gli altri settori". Ed in prospettiva appare preoccupante la dinamina degli investimenti che, dopo una "robusta crescita" dal 2021 al 2023, "si fermano queast'anno (+0,5%) e scenderanno l'anno prossimo (-1,3%).
Risale il reddito disponibile per le famiglie ma i consumi appaiono frenati dalla ricostituzione del risparmio speso negli anni scorsi.
E nel 2025 l'inflazione è attesa "risalire in parte tendendo ad avvicinarsi ai valori della misura core, poco sotto il +2%". Tra i vari dati, l'export delude le attese: la stima per il 2024 scende al +0,6%; quella per il 2025 si ferma al +2%; Le importazioni 2024 sono ora previste in "brusco calo" al -2,9%. Sul fronte del lavoro si assiste ad un calo, atteso, delle ore lavorate per occupato. Le Ula (il dato statistico delle unità di lavoro equivalenti al tempo pieno" salgono "ad un ritmo più sostenuto rispetto all'attività economica, +1,4%" nel complesso del 2024 ma già dalla seconda metà di quest'anno non è più così e nel 2025 "sono attese ad un ritmo inferiore rispetto al Pil". Mentre "il numero di occupati continuerà ad aumentare come il Pil". Il tasso di disoccupazione è visto in calo, meglio di quanto precedentemente previsto, al 6,5% nel 2024 ed al 6% nel 2025. Sul fronte della finanza pubblica, il CsC segnala anche "l'alto" fabbisogno di cassa e la spesa per interessi "in moderato aumento". "Entrate in crescita" al 46,5% del Pil nel 2024 e al 47,2% nel 2025. "La pressione fiscale e contributiva sale, complessivamente, al 42,20% del Pil nel 2024 (dal 41,5% nel 2023) e al 42,3% nel 2025". Nelle stime, gli investimenti pubblici "rimangono pressoché stabili tra il 2023 e il 2024 (+1,6%), mentre tornano a crescere nel 2025 (+13,4%)". Il centro studi diretto da Alessandro Fontana approfondisce cinque "nodi", in particolare, che frenano la competitività e in prospettiva rappresentano un rischio per la crescita del Paese: "Il declino demografico accrescerà la carenza di lavoratori, che già oggi è un problema": pesa sempre di più un "disallineamento quantitativo tra domanda e offerta di lavoro", legato a fattori come calo e invecchiamento della popolazione, la scarsa mobilità interna, la fuga di cervelli, la carenza di lavoratori extra-Ue, il gap tra competenze che servono alle aziende e sistema formativo. Poi i "costi di alloggio troppo elevati rispetto a produttività e quindi salari, nelle diverse aree territoriali" che "frenano la mobilità dei lavoratori": da nasce il pressing per un 'piano casa' che il presidente degli industriali Emanuele Orsini ha messo tra le priorità della sua agenda. A frenare la competitività anche "i prezzi del gas e dell'elettricità che sono ancora più alti in Italia, sia rispetto agli altri grandi paesi europei come Francia e Germania, sia rispetto agli Stati Uniti". "Il crollo del settore auto"; e sui costi delle emissioni di CO2 il "sempre più stringente sistema Ets parallelamente all'operatività del Cbam". (
Si ferma la corsa agli investimenti -1,3%
Gli investimenti "si fermano quest'anno (+0,5%) e scenderanno l'anno prossimo (-1,3%)": uno stop dopo "la robusta crescita degli anni scorsi (+21,5% nel 2021, +7,5% nel 2022 e +8,5% nel 2023)": è tra i dati dello scenario che il centro studi di Confindustria traccia con il rapporto di autunno sulle previsioni economiche Gli investimenti, "nella prima metà del 2024 hanno frenato a causa dell'azzeramento del contributo di quelli in abitazioni, ma ha inciso anche il contributo negativo di quelli in impianti e macchinari. Nella seconda parte dell'anno la dinamica è attesa diventare negativa per la caduta dell'edilizia residenziale, che si acuirà nel 2025 quando anche gli altri incentivi edilizi saranno scaduti o torneranno alle aliquote ordinarie, e nonostante l'impatto positivo del taglio dei tassi di interesse". Per gli investimenti in abitazioni un calo del 15% riporterà nel 2025 il livello "a metà tra quelli del 2021 e del 2022, corrispondente ai valori del 2008". Gli economisti di via dell'Astronomia rilevano che "agiranno a parziale compensazione le spese connesse all'implementazione del Pnrr, che rafforzeranno gli investimenti in fabbricati non residenziali, e la ripresa degli investimenti in impianti e macchinari, già dalla seconda parte del 2024, che riguarderà gli investimenti ritardati dall'attesa di Transizione 5.0, misura che presenta alcune difficoltà applicative", come "la dimostrazione del risparmio energetico, la non chiara definizione delle regole di cumulo con altre misure finanziate da risorse europee e l'esclusione dall'incentivo di una parte del sistema produttivo in ottemperanza al principio del Do No Significant Harm". Su tutte le componenti degli investimenti "agiranno positivamente sia il taglio dei tassi di interesse che le migliori prospettive economiche".
'Spesa Pnrr 2024 circa metà del programmato'
Per il Pnrr, tra spese sostenute e spese pianificate "rispetto alla previsione governativa" quella del Centro studi di Confindustria "sconta gli effetti di un parziale utilizzo delle risorse" rispetto a quanto programmato: "Circa la metà nel 2024 e due terzi nel 2025". "I dati di metà ottobre della piattaforma di monitoraggio e rendicontazione ReGiS - rilevano gli economisti di via dell'Astronomia, nel rapporto di autunno sulle previsioni economiche - indicavano una spesa sostenuta finora pari a 9,5 miliardi, ben inferiore a quella pianificata nel 2024, cioè 42,2 miliardi. Se da un lato è ragionevole ipotizzare che verso fine anno ci sarà un cospicuo aumento di spesa, per via di un ritardo fisiologico nel caricare i dati sulla piattaforma da parte dei soggetti attuatori e per via di una rendicontazione delle spese 'a stato avanzamento lavori', dall'altro è ormai probabile che ci siano dei ritardi nella messa a terra di alcuni progetti e che quindi ci sia un minor tiraggio per alcune misure". Ed in particolare "circa 21 miliardi in meno nel 2024 e 19 nel 2025". Il centro studi dell'associazione degli industriali si sofferma su questo punto nell'analisi dedicata alla finanzia pubblica.
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