Robbie Williams: “Non riuscivo a tenere il mio pene nei pantaloni, e lo sapevo. Sposarmi serviva più o meno ad abbracciare uno stile di vita monogamo”

10 ore fa 2
 “Non riuscivo a tenere il mio pene nei pantaloni, e lo sapevo. Sposarmi serviva più o meno ad abbracciare uno stile di vita monogamo”

Robbie Williams è atteso in Italia e più precisamente in piazza del Plebiscito a Napoli perché è la guest star della Finalissima di “X Factor”. Sarà affidato a lui l’opening della diretta su Sky Uno, Now e in simulcast su Tv8 in prima serata domani.

Nel frattempo l’artista sbarcherà al cinema dal primo gennaio con “Better Man”, il film sulla sua vita diretto da Michael Gracey. Il cantautore non ci sta a farsi etichettare come il “cattivo ragazzo” dei Take That e lo ha spiegato non solo nel film, ma anche nell’intervista rilasciata a Vanity Fair: “Non credo ci fosse questa narrazione nel Regno Unito. Ho lasciato la band, e le ragazze erano tristi, tutto qui. Ma sì, mi ha colpito sapere che in Italia si pensava fossi io il cattivo. Però va bene così. Non mi disturba”.

Robbie Williams non si è fatto mancare nulla nella sua vita. Specie sul fronte sentimentale: “Non riuscivo a tenere il mio pene nei pantaloni, e lo sapevo. Sposarmi (con Ayda Field, ndr) serviva più o meno ad abbracciare uno stile di vita monogamo. E sapevo anche che avrei potuto perdere metà di tutto ciò che avevo guadagnato. Ecco perché, in termini concreti, è stata quella la scommessa più grande. Ma l’altra è stata sognare. Da dove vengo io, queste cose non succedono a persone come me. E finché non le sogni, finché non ci provi… l’album Swing When You’re Winning, Rudebox, i video, le cose che dico nelle interviste, nei talk show: sono tutti azzardi. Ognuno di loro avrebbe potuto essere il disastro totale o un successo”.

Nei giorno scorsi Williams, scioccato per la morte di Liam Payne, si era speso molto per il tema del burnout dei giovani artisti nel mondo della musica: “Ho 50 anni, e posso permettermi di dire: ‘Alt, così è troppo’. Per fortuna ho un management e un’etichetta discografica che mi ascoltano e si preoccupano del mio benessere, dicendo: ‘Ok, fermiamoci qui’. Non so cosa significhi far parte di una boy band nel 2024, ma immagino che oggi manager e case discografiche siano terrorizzati all’idea di sbagliare, temendo di finire sotto accusa”.

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