18 Ottobre 2024 16:18
Robert Roberson è stato “salvato” dalla morte 90 minuti prima dell’esecuzione della pena capitale alla quale era stato condannato per il decesso della sua bimba di 2 anni, avvenuto nel 2002. Secondo gli avvocati, la scienza avrebbe fatto progressi tali da poter dimostrare che la bimba non morì per lesioni dovute alla “sindrome del bambino scosso” come invece inizialmente ipotizzato.
Robert Roberson
Era stato condannato alla pena capitale per la morte della figlia di 2 anni avvenuta nel 2002 nella città di Palestine, in Texas. Circa 90 minuti prima dell'esecuzione, che avrebbe dovuto esserci nella notte di giovedì, la Corte suprema del Texas ha bloccato tutto. Robert Roberson è quindi ancora vivo. Il detenuto sarebbe stato il primo ad essere condannato negli Stati Uniti per un omicidio legato a una diagnosi di "sindrome del bambino scosso".
Il suo caso aveva scosso l'opinione pubblica già nel 2002: il detective che 22 anni fa lo fece incriminare, oggi lo ritiene innocente sulle pagine del New York Times. Per lui si è esposto anche lo scrittore John Grisham, che più volte ha portato il caso di Roberson sotto i riflettori. A seguito dello stop dell'esecuzione, Roberson sarà ascoltato da un giudice nella giornata di lunedì. In questo modo, la Corte Suprema potrà riconsiderare le prove per decretarne l'effettiva innocenza e "impedire che si verifichi un errore giudiziario". La decisione è arrivata dopo una serie di mosse legali dell'ultimo momento da parte della difesa e dopo settimane di pressioni pubbliche da parte di parlamentari repubblicani e democratici. Secondo l'opinione pubblica e non solo, il 57enne sarebbe stato condannato con prove errate.
La morte della bimba nel 2002
Tutto inizia nel 2002, quando Roberson diventa il principale sospettato per la morte della figlioletta. L'uomo entrò in carcere dopo che le autorità valutarono le lesioni riportate dalla bimba come causa di maltrattamenti. Da 22 anni Roberson è rinchiuso nel braccio della morte del carcere di Huntsville e da allora, come sostengono i suoi legali, la scienza e le tecnologie forensi hanno fatto passi avanti tali da poter rianalizzare le prove presentate contro il detenuto oggi 57enne.
Gli avvocati della difesa, supportati da alcuni medici, sostengono che la piccola Nikki Curtis non sia morta in seguito a maltrattamenti e che le lesioni analizzate non abbiano nulla a che fare con la sindrome del bambino scosso. A provocare la morte della piccola sarebbero state alcune complicazioni legate alla polmonite.
Sempre secondo la difesa, inoltre, l'autismo non diagnosticato di Roberson sarebbe stato usato contro di lui in fase processuale. Lo spettro autistico, infatti, è stato accertato solo dopo la condanna e durante le indagini, le autorità si erano dette "insospettite dalla mancanza di emozioni mostrata dal papà per la morte della bimba", ignorando che in alcuni casi l'autismo incide in maniera evidente sul rapporto con gli altri.
La sindrome del bambino scosso
Per quanto riguarda la sindrome del bambino scosso, che secondo le autorità sarebbe stata erroneamente diagnosticata, per i legali e per i medici che hanno sostenuto la loro tesi difensiva, la piccola sarebbe morta in seguito a gravi complicazioni dovute a una polmonite: la bimba, infatti, era caduta dal letto dopo essere stata gravemente malata per una settimana.
La sindrome del bambino scosso è anche nota ai medici come "trauma cranico da abuso" proprio in virtù delle lesioni cerebrali compatibili con uno scuotimento violento di un bimbo o di una caduta a terra. Le nuove tecnologie e i progressi della scienza però permetterebbero di notare che le ferite della bimba non sono state causate dalle percosse.
Gli avvocati di Roberson non negano le lesioni alla testa riscontrate, ma affermano che i medici abbiano sbagliato a ritenere quelle ferite come legate alla sindrome del bambino scosso.