Il Medio Oriente è un puzzle in cui ogni tassello ha il suo posto e qualsiasi sommovimento si ripercuote su tutto il quadro. Ecco allora che la tregua in Libano, e la sconfitta delle milizie sciite filo-iraniane Hezbollah per mano di Israele, si traduce nel nordovest della Siria in un vuoto di potere proprio di Hezbollah, che in Siria aveva importanti postazioni e un ruolo effettivo di presidio militare. E, di conseguenza, nell’indebolimento di tutto il fronte lealista che sostiene il regime siriano di Bashar al-Assad, formato non solo da Hezbollah ma dall’esercito russo e dai pasdaran iraniani, o le Guardie della rivoluzione.
FUGA
Ad approfittarne è lo schieramento opposto, sostenuto dalla Turchia e guidato dai sunniti jihadisti ex al-Qaeda, che con la milizia Hayuat Tahrir al-Sham adesso sono all’attacco, sono entrati in cinque quartieri e hanno conquistato 31 villaggi attorno alla città. Le forze siriane, russe e iraniane sarebbero in fuga. A giovarsene, per il momento, è la Turchia, che appoggia i jihadisti in funzione del contenimento delle mire iraniane e russe nella regione. Non è escluso che leader turco, Recep Tayyip Erdogan, voglia dare una dimostrazione al presidente Trump, alla vigilia del suo insediamento alla Casa Bianca a gennaio, di essere l’unica vera forza in grado di arginare l’imperialismo dell’Iran nella regione. Sembra di essere tornati a scenari da Grande Gioco. La miccia sarebbe stata un bombardamento congiunto di jet russi e siriani fedeli ad Assad, che ha provocato molte vittime civili ad Idlib e, quindi, la reazione dei ribelli.
L’avanzata di Hayuat Tahrir al-Sham è la dimostrazione che da sole le forze governative di Assad non sono in grado di resistere all’offensiva delle opposizioni, e devono perciò appoggiarsi all’armata russa e alle milizie proxy iraniane. Ma la capacità militare di Hezbollah, martellata e degradata dagli attacchi israeliani, non è più quella di prima. E i russi a loro volta sono distratti dall’impegno della guerra in Ucraina. Ed è così che si riapre il conflitto siriano, dopo otto anni di battaglia che si era concentrata proprio ad Aleppo tra l’estate 2012 e il dicembre 2016. Le truppe di Assad alla fine avevano riconquistato la città insieme a Hezbollah, iraniani, russi, milizie sciite pachistane, irachene, yemenite e afghane. Le tre divisioni inviate al fronte da Damasco in questi giorni non sono riuscite a respingere l’attacco sunnita, e un comandante dell’Irgc (Guardiani della rivoluzione islamica) è stato ucciso, così come un consigliere russo a capo di una unità di droni. Si sarebbe ritirato anche un intero reggimento iraniano. La Turchia osserva, ma sembra che questa volta non sia intervenuta per fermare le milizie sciite alleate. E per questo arriva da Mosca il comunicato in cui si parla di minaccia alla “sovranità della Siria” e si punta l’indice su Ankara. Era dal 2020 che non si tornava a combattere in Siria con questa virulenza, dall’accordo turco-russo che aveva messo fine alla guerra, e che impegnava la Turchia a smilitarizzare tutta l’area e imporre alle milizie sunnite qaediste di consegnare i fucili. Un’altra città nel mirino è quella di Idlib, dove sono accampati rifugiati che potrebbero riversare in Turchia. Le forze turche, inoltre, potrebbero sfruttare la situazione militarmente favorevole stringendo d’assedio Tel Rifaat e proseguire nell’opera di “bonifica” dalle milizie curde che la controllano.
PRESENZE
Per il momento, Erdogan fa sapere di monitorare la situazione e auspica che non degeneri a danno dei civili. Anche la Russia evita di esporsi con dichiarazioni avventate, pur incalzando Ankara, anche perché in Siria vanta una presenza militare che ha i suoi capisaldi in due basi, una navale a Tartus e l’altra aerea a Hmeimim, nella provincia di Latakia. Sembra di trovarsi di fronte a un’evoluzione determinata da vicende sul campo (i bombardamenti russo-siriani), ma anche da scelte strategiche e da uno spostamento degli equilibri dovuto all’onda lunga della sconfitta di Hezbollah in Libano.
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