“Condanniamo le pratiche barbare che stanno infliggendo alle combattenti. E lo dichiariamo ufficialmente: le vendicheremo”. L’annuncio arriva dal comando generale dell’Ypj (Unità di difesa delle donne), movimento politico e militare delle donne curde che dieci anni fa, insieme alle brigate degli uomini dell’Ypg ha sconfitto l’Isis nel Nord della Siria, e oggi è tornato a combattere le milizie che hanno preso Aleppo e avanzano verso Homs. Oggi come allora, denunciano da Ypj, minacciano di trasformare le donne catturate in schiave del sesso, da vendere al miglior offerente.
Quando è scattato l’allarme
L’allarme è scattato dopo le prime giornate di combattimenti ad Aleppo. Sui social hanno iniziato a circolare video che mostrano donne catturate dalle milizie appoggiate dalla Turchia, ma che Repubblica non ha potuto verificare in maniera indipendente. Negli ambienti dell’Ypj li considerano autentici e sono stati ripresi da diversi media curdi. "Dal Rojava ci confermano che si tratta di combattenti curde”, dice Ylmaz Orkan dell’Ufficio di informazioni curde in Italia. “È successo ad Aleppo”, afferma.
In uno si vedono due donne a testa china sulla camionetta. Strattoni, braccia strette dietro la schiena, fuori campo una voce che urla ordini, comanda alle due prigioniere di abbassare la testa e tacere.
In un altro video che circola in queste ore si vede una donna ferita. La divisa è macchiata di sangue rappreso, da sola non riesce a muoversi. Viene presa di peso e scaricata come un sacco su una camionetta, tutto attorno si sentono urla di giubili. “Allah Akbar, Allah è grande”.
Le ragioni della preoccupazione di Ypj
Al momento non si sa se a catturarle sia stata l’Sna, il cosiddetto Esercito nazionale siriano (Sna), struttura ombrello delle milizie jihadiste riunite dalla Turchia per le invasioni di Afrin nel 2018 e Serekaniye nel 2019, o Haay'at Tahrir al-Sham (HTS), organizzazione siriana che fino al 2020 è stata affiliata ad al Qaeda. Nel comunicato di Ypj i responsabili vengono definiti “appartenenti alle milizie coperte dalla Turchia”, che per l’Unità di difesa delle donne tiene sotto l’ala entrambe le formazioni.
Ad allarmare il comando di Ypj, oltre a non meglio precisati report di testimoni oculari, una serie di elementi. Primo la presenza in zona di Abu Hatem Shaqra, comandante della fazione Ahrar al-Sharqiya dell’Sna e autore materiale dell’assassinio di Hevrin Khalef, politica curda e segretaria del Syrian Future Party uccisa insieme a due collaboratori nel 2019. Secondo motivo di allarme, i commenti entusiasti che sui social hanno accompagnato la diffusione, diventata virale, dei video con cui le milizie hanno celebrato sui social la presa di Aleppo, mentre dal terreno arrivava la conferma della cattura delle miliziane. C’è un termine ricorre più di tutti: “Sabaya”.
“Torneremo a vendervi al mercato”
In arabo ha significati diversi, nessuno positivo. Nella migliore delle ipotesi vuol dire prigioniera. Il più delle volte è un insulto: scrofa, carne a perdere. Per i jihadisti ha generalmente connotazione precisa e specifica: schiava sessuale, cosa animata da vendere, usare o uccidere, poco importa. E di questo tenore sono i commenti che accompagnano i video che rimbalzano di account in account. Quella donna sballottata da un mezzo all’altro come una bambola di pezza è trofeo da mostrare alle proprie file, una minaccia diretta verso l’Ypj tornata a combattere fra Homs e Aleppo.
“Questi mercenari, a cui manca qualsiasi senso dell’onore e del rispetto anche per le regole della guerra, hanno umiliato le prigioniere, le hanno usate per farsi propaganda sui propri media. Con dichiarazioni come ‘torneremo a vendervi al mercato’ mostrano quale sia la loro considerazione delle donne. Sono crimini contro l’umanità e non possono essere tollerati”, tuonano dal comando generale delle combattenti curde.
L’appello dell’Ypj: “Questi crimini non rimangano impuniti”
Al momento, da organismi e ong internazionali non arrivano conferme ufficiali. “Stiamo verificando”, è la risposta standard. Ma a taccuini chiusi molti ammettono: “è plausibile”. Perché banalmente è già successo. Nel 2014 migliaia di donne sono state sequestrate e portate via da Shengal, Mosul e Raqqa, dove infuriava lo Stato Islamico, movimento fanatico islamista diverso dall’Hts che ora guida l’offensiva su Aleppo, essere stuprate e poi usate o vendute come schiave del sesso.
“Chiediamo alla Croce rossa internazionale, ad Amnesty International, a tutte le organizzazioni che si battono per i diritti delle donne, a società civile, istituzioni, veri democratici e chi combatte per la libertà di sposare la causa di queste donne e di intervenire”, è l’appello delle miliziane dell’Ypj.
"Vi fermeremo sul campo di battaglia”
La Turchia non sostiene esplicitamente l’offensiva dei miliziani. Ma tra i curdi nessuno ci crede. In un comunicato pubblico della brigata internazionale dell’Ypj, una combattente (i nomi non vengono mai fatti per motivi di sicurezza sul terreno e al ritorno nel proprio Paese di origine ndr), spiega “è importante capire che questi gruppi jihadisti sul campo, vale a dire il Fronte Hay'at Tahrir al-Sham (HTS), che proviene dal (ramo siriano) di al-Qaeda, sono sostenuti dallo Stato turco. Sono bande jihadiste. E stanno diffondendo paura tra la gente. Dall’altro lato, provenienti dal nord della Siria, dai territori che sono stati occupati dallo Stato turco, assistiamo all’avanzata del cosiddetto Esercito nazionale siriano (SNA), composto da milizie che hanno gestito e controllato i territori occupati dalla Turchia negli ultimi anni. Quindi vediamo che l’SNA attacca maggiormente da nord e Hayat Tahrir al-Sham più da ovest, da Idlib”.
Ecco perché dal comando generale di Ypj puntano il dito genericamente contro “Ankara e i suoi mercenari”, chiedendo che paghino per le loro azioni. “La Turchia sarà considerata direttamente responsabile di qualsiasi cosa succeda alle prigioniere”, promettono. “Continuiamo a lavorare in ogni trincea per proteggere le donne e la nostra gente”. E promettono: “Per l’ennesima volta vi fermeremo sul campo di battaglia”