C'è una postura occidentale laica, oseremmo dire normale, lucida e non ancora tramortita, che non si illude, che sa di non poter impedire un flusso migratorio dei musulmani
C'è un elefante nella cristalleria europea, ma rilevarlo è retorica, e noi rischiamo di morirci, di retorica. Il pachiderma si chiama «arabi» o meglio «musulmani», o forse è meglio dire «islamisti» per non dire «islamici» o ancora «fondamentalisti», questo per non scomodare il vetusto «maomettani»: ma l'arrovellarsi in un vacuo parolaio fa parte della stessa retorica che rischia di spazzarci via.
Ernesto Galli della Loggia, sul Corriere della Sera, ha scritto che ad Amsterdam c'è stata sì una feroce aggressione antisemita: ma non da parte di un gruppo di olandesi, bensì ad opera di immigrati musulmani (aiutati da tassisti musulmani) col sospetto di un ruolo di poliziotti musulmani: è questo l'elefante antisemita nella cristalleria europea, non è solo questo, ma è essenzialmente questo prima di altro, prima, ossia, di ogni riferimento storico al nazismo e alla «notte dei cristalli», prima di qualche murales deturpato, prima della temuta «islamofobia» (retorica) che ha lasciato Galli della Loggia praticamente da solo nel rilevare delle ovvietà. Bastava leggere le cronache giornalistiche più oneste, laddove si scriveva che dalle parti di Amsterdam il 10 per cento degli abitanti è di origine araba, che molti poliziotti denotano un'implicita obiezione di coscienza nell'intervenire (o no) contro i «proPal», che in molte scuole non si studia la Shoah perché i figli degli immigrati fanno problemi, che camminare per strada con una kippah in testa è rischioso, che il procuratore di Amsterdam ha parlato di «evento non spontaneo» come espediente (retorico) per non dire che l'attacco antisemita era premeditato. Anche il filosofo ebreo Alain Finkielkraut, sulla Stampa di ieri, ha detto che la Notte dei cristalli c'entra poco o nulla, che il pregiudizio antisemita di destra è «residuale», che quello di oggi «è un antisemitismo portato in valigia dall'immigrazione massiccia e accolto non dall'estrema destra ma dalla sinistra radicale»: ma anche Finkielkraut verrà lasciato solo, o meglio: la stessa Stampa l'ha subito bollato come «fustigatore provocatorio del politicamente corretto». Che poi qual è, potremmo chiederci, questo politicamente corretto? Qual è questa cautela sempre intimidita e paralizzata dalle proprie petizioni di principio genere «accogliamoli tutti» o «migrare è un diritto»? Risposta: è il politicamente corretto che rappresenta la vera islamofobia, sono coloro che parlano di «antisemitismo» ma hanno persino il timore di tradurlo in parole e volti, sono coloro che temono che al di fuori della loro correttezza retorica ci sia soltanto un'ultradestra becera che voglia discriminare i musulmani sino a escluderli d'ufficio dall'Europa, giudicandoli tutti incompatibili con la democrazia. Ma non è la verità: è, come si dice oggi, una narrazione.
C'è una postura occidentale laica, oseremmo dire normale, lucida e non ancora tramortita, che non si illude, che sa di non poter impedire un flusso migratorio dei musulmani, dei mullah, persino degli estremisti e di chi respinge la separazione tra Stato e religione, di chi non contempla la democrazia, di chi esclude la parità di genere e nega l'eguaglianza, di chi ammette le pene corporali e di chi fomenta l'odio e quindi l'antisemitismo: è un'Europa che non può fermarne il flusso, ma che può trovare la forza semplicemente di sbattere fuori dai propri confini chi non sta al passo con la sua storia e la sua civiltà: che è la nostra storia, è la nostra civiltà.