Nell’ultima settimana, il conflitto inaspettatamente riaccesosi in Siria ha catalizzato l’attenzione di tutto il mondo. Tutto è cominciato la mattina di mercoledì 27 novembre, quando i combattenti dell’opposizione siriana hanno lanciato l’operazione “Alba della Libertà”, un’offensiva ad ampio raggio contro le posizioni dell’esercito regolare, catturando rapidamente più di una dozzina di città. Il fronte di opposizione ad Assad, leader della Siria, sembrerebbe guidato dall’organizzazione islamista Hayat Tahrir al Sham (HTS), parte dell’eterogeneo gruppo di “ribelli” siriani, storicamente vicini alla Turchia. Sin da subito, sono emerse supposizioni su chi possa celarsi dietro questa offensiva dai rari precedenti: HTS opera per conto proprio o è guidata dalla Turchia nella sua smania anti-curda? O forse Ankara intende riaprire la guerra per procura con Russia e Iran? E se, invece, Erdogan non fosse coinvolto, e il principale responsabile fosse lo Stato ebraico, in un tentativo di infliggere un duro colpo al proprio rivale regionale? Di fronte a queste ipotesi e ai frenetici incontri diplomatici, la situazione in Siria rimane in continua evoluzione, lasciando spazio a numerose interpretazioni.
Cronaca del conflitto
Il coinvolgimento della Turchia e la repressione dei curdi
Le mire di Israele
Nel loro comunicato congiunto, Turchia e Iran rimarcano che «ignorare il ruolo del regime sionista nel creare disordini e conflitti nella regione e nei Paesi della regione sia un errore», accusando velatamente lo Stato ebraico di essere dietro gli attacchi anti-Assad. Effettivamente, l’indebolimento del fronte siriano, e dunque indirettamente dell’Iran, porterebbe diversi vantaggi a Israele, che ha recentemente siglato un accordo di cessate il fuoco con le milizie libanesi di Hezbollah. Proprio in virtù del cessate il fuoco, inoltre, sarebbe stato difficile trovare un momento più propizio di questo per destabilizzare la Siria, la cui sicurezza dipende in larga parte proprio da Hezbollah. A sottolineare come gli attacchi in Siria costituiscano una sostanziale «buona notizia» per Tel Aviv sono gli stessi israeliani: secondo Daniel Rakov, tenente colonnello di riserva dell’IDF e ricercatore del Jerusalem Institute for Strategy and Security specializzato in politica russa in Medio Oriente, «la caduta del nord della Siria nelle mani dei ribelli danneggerebbe le infrastrutture degli iraniani e di Hezbollah e renderebbe loro difficile lavorare per restaurare il movimento». Tutto questo, inoltre, metterebbe «in grande imbarazzo Mosca», finendo per indebolire la presenza russa in Medio Oriente.
Le aspirazioni di HTS
Un’ultima ipotesi, considerata da pochi, è che dietro gli attacchi ribelli ci siano gli stessi ribelli. Le autorità dell’SSG, infatti, hanno rilasciato diversi comunicati per ribadire che il loro unico obiettivo sono le forze filo-Assad e che non intendono reprimere gli abitanti delle aree conquistate né espandersi oltre i confini siriani. Oltre alla nota indirizzata al popolo curdo, l’SSG ha pubblicato dichiarazioni di solidarietà verso i cittadini di Aleppo e delle aree limitrofe, sottolineando che «non smantelleranno le istituzioni presenti, ma che il nostro obiettivo è fornire un ambiente sicuro e stabile sotto l’egida della verità e della giustizia, dove tutti possano vivere la propria vita liberamente e con dignità senza paura o minaccia». Anche analisti come Meneshian, che considera l’opposizione non come un movimento ribelle, ma come mercenari al soldo della Turchia, hanno osservato che, almeno per ora, non sono stati segnalati episodi di repressione contro le minoranze cristiane.
[di Dario Lucisano]