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Dopo la revoca di Milano, la rinuncia di Roma. L’Italia non ospiterà la finale di Champions League 2027: adesso la sconfitta del nostro calcio e un po’ di tutto il Paese è davvero completa. La notizia di giornata è che la Uefa ha annunciato le nuove candidature, dopo che la manifestazione d’interesse era stata riaperta a inizio ottobre per i noti problemi che riguardano la ristrutturazione di San Siro: le città che si sono fatte avanti sono Madrid, con il Wanda Metropolitano dell’Atletico, e Baku, capitale dell’Azerbaijan. E Roma? Nulla, la nostra Capitale non si è nemmeno presentata. Anzi, sarebbe meglio dire che non è stata presentata.
Strano, perché dopo il forfait di San Siro sembrava scontato che l’Italia ci riprovasse con l’Olimpico (anzi, tra gli addetti ai lavori ci si rammaricava di non aver anticipato la revoca della Uefa puntando direttamente sulla Capitale, una volta capito che Milano non avrebbe potuto offrire le dovute garanzie). Il Comune attraverso il sindaco Gualtieri e l’assessore Onorato sempre a caccia di grandi eventi aveva già manifestato ufficialmente la sua piena disponibilità. C’erano già stati i primi colloqui e all’orizzonte non sembravano esserci rivali particolarmente temibili (come poi confermato anche dalle manifestazioni effettivamente pervenute). Così non vedere nella short-list Roma ha stupito tutti. In particolare il Campidoglio, che confidava quanto meno di potersi giocare la partita fino all’ultimo, e afferma di non sapere nulla della mancata candidatura.
Roma non c’è perché la FederCalcio di Gabriele Gravina, a cui spettano i rapporti con la Uefa, non l’ha candidata. E non si sarebbe nemmeno degnata di comunicarlo al Comune, né a Sport e Salute, la partecipata pubblica proprietaria dell’impianto. Quindi non si tratta di una scelta condivisa ma unilaterale da parte della Figc, che invece assicura di averne messo a parte almeno il sindaco Gualtieri. Ufficiosamente per motivi politici: pare che sondato il terreno ai piani alti e capito che, dopo il ritiro di Milano, la Uefa non era predisposta a darci una seconda occasione, si è deciso di non presentarsi proprio, per non esporsi a un ulteriore smacco. “Non c’erano le condizioni per avanzare una candidatura”, spiegano dalla Federazione. Qualche dubbio però rimane. E il sospetto – corroborato anche dalla straordinaria mancanza di tatto fra istituzioni – è che sulla rinuncia abbiano pesato i pessimi rapporti col governo: una finale all’Olimpico avrebbe costretto la Federazione a coinvolgere Sport e Salute, vista come propaggine della maggioranza (dal presidente Mezzaroma alla new entry De Mita) che ha messo nel mirino la poltrona del presidente Gravina. La mancata comunicazione rischia di diventare un vero caso diplomatico, non senza conseguenze, e possibili ripercussioni anche sul dossier per gli Europei 2032.
Certo sarebbe grave se queste beghe condominiali avessero contribuito anche in minima parte a far perdere al nostro Paese un’occasione. I rimpianti aumentano poi se consideriamo le avversarie: il Wanda Metropolitano ha già ospitato la finale nel 2019, nel 2027 sarebbero passati meno di dieci anni e l’assegnazione ad uno stesso stadio in un arco di tempo così stretto avrebbe pochi precedenti (solo Wembley ha avuto quest’onore; se poi ci mettiamo il Bernabeu 2010, le finali nella Capitale spagnola sarebbero tre in meno di 20 anni). Ragion per cui aumentano le chance dell’Olimpico, ma di quello di Baku, che però non è certo la sede ideale per la Uefa, per evidenti ragioni logistiche e geopolitiche (senza contare che già nel 2026 si va ad est da un autocrate, nella Budapest di Orban). Davvero Roma non avrebbe potuto farcela o chi di dovere non ci ha creduto fino in fondo? Non lo sapremo mai.