Gregor Podlogar, l’umiltà della percezione (Traduzione di Michele Obit)

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Le due poesie di Gregor Podlogar – nato nel 1974, è uno dei poeti sloveni più affermati della sua generazione – sono inserite nella sua ultima raccolta, Atlas, pubblicata due anni fa. Nel libro i componimenti variano di lunghezza ma mantengono quasi sempre la stessa intensità. I brani più lunghi sono dedicati ad artisti importanti come Georg Trakl, Gustav Mahler e Joseph Haydn. È qui che il poeta gioca con il tema del viaggio aggiungendovi però dimensioni e forme diverse. Egli rimane attento alle circostanze storiche e alla libertà data, in poesia, dal possibile e dall’impossibile. Tuttavia, quella che emerge è anche una percezione quasi umile del mondo, l’osservazione che avviene dal centro di una stanza, dei pensieri, dell’universo. Tutto è intrecciato e coesiste, e il peso più grande è portato dalla parola.

M. O.

***

Gustav Mahler,
a sé, prima della morte

La grandiosità di questo mondo non ha prezzo.
Ciò che creo, lo crea il mondo.
I miei suoni sono i suoni del mondo.
Quando parla attraverso di me
la mia musica mi sovrasta:
più grande di tutto quanto mi appartiene,
di quanto non mi appartiene.
Non vedo la sua fine,
collego le note con l’intuito,
l’intuito di ciò che è in me
e non è solo mio.
Solo la morte è assoluta.
Solo la morte è infinita.
Alcune questioni di ogni giorno
appartengono al cielo.
Lo vedo
come nei mesi estivi
distende le ali
per le silenti valli montane
e assieme all’arrivo
della luce del giorno
sfiora i campanacci delle mucche,
i fili d’erba, le pietre.
I nudi monti parlano
come fossero monti orrendi.
Sento il silenzio argentato
del bosco, ampio,
allungato
oltre il luccichio notturno degli abeti
in un enorme chiaro di luna,
come sento le impetuose
acque dei torrenti scorrere
per le fredde rocce alpine
cosparse nel cielo stellato.
Percepisco le lisce mani
del delicato colpo di vento
che dà in pasto ai fiori dei monti
l’aurora, racconta loro
le storie dei boschi nel momento
in cui correggo la prima nota
di una nuova sinfonia,
perché il sole sorga,
perché il lago parli
con la sua lingua,
perché l’accordo
esca dal silenzio
e con il passo quasi impercettibile
della formica varchi
l’umanità. Non è terribile
come la natura ripeta
i suoi rituali
per essere implacabile,
come qualcosa finisca,
scompaia, come scompaiono i pianeti,
le galassie, i batteri,
come qualcosa risuoni
quando è già risuonato,
come qualcosa rimanga
quando già se ne è già andato?
Batte forte
il grande cuore della Terra.
Ma questo appartiene ad un altro
tempo. Arrivano le città,
tornano e se ne vanno,
se ne vanno e ritornano.
L’opera mi guarda
da anni diffidente.
La nostra adorata
e odiata Vienna.
Viaggio. Viaggio.
Divento più piccolo
e di nuovo più grande e alto
come New York.
Solo in Carinzia
resto sospeso. Sospeso.
Il rifugio in me.
Veglio. Gorgoglia il ruscello.
Le note di nuovo dirigo
al pallone che vola
sul paesaggio estivo
e poi si nasconde in esso
come una lepre nella tana.
Le poesie vengono sempre dalla terra.
Non so più
per chi piangere.
Nelle onde dell’Atlantico,
mentre la nave mi trasporta
tra le braccia della morte,
rifletto spossato:
tutti un giorno
prenderemo velocemente commiato,
commiato da sé
come da qualcun altro,
in quell’ultimo istante.
Come respiro
pienamente la sensazione
di quest’addio,
mai del tutto comprensibile,
ma la parte più vera di me
come essere umano.
Morirò per poter vivere!
Per l’ultima volta con la mente prendo il largo
per l’assenza,
rischiaro il ricordo,
affrancato dalla musica
con cui per decenni ho vissuto,
cado nel profondo
del mai sentito silenzio.
Per l’ultima volta chiudo gli occhi,
scorgo la causa prima.
Tutta l’inquietudine scompare.
Scompare tutto ciò che sono,
che è, che sarà.
Apro la bocca.
Non proferisco parola.
Si spegne con il sorriso.
Le ultime fiamme
della vita nella vita.
Ardo. Non parlo.
Mi consumo. Sbiadisco.
La grandiosità di questo mondo non ha prezzo.

Movimento

Non come uomo,
come essere tra gli esseri,
come un solo istante
senza morte,
come il crollo del cosmo,
ronzante con il cosmo –
con tutto in tutto.

***

Gregor Podlogar (1974) ha concluso gli studi di filosofia a Lubiana. Per molti anni è stato redattore della sezione slovena del portale poetico lyriklinr.org. Ha pubblicato varie raccolte poetiche, da Naselitve (Insediamenti) del 1997 ad Atlas del 2022, per la quale è stato finalista dei premi Veronikina nagrada e Jenkova nagrada. Le sue poesie sono state tradotte in molte lingue e pubblicate in antologie straniere, tra queste in Loro tornano la sera. Sette autori della giovane poesia slovena (cura e traduzione di Michele Obit, ZTT – Editoriale Stampa Triestina, 2011). Attualmente, dopo un lungo periodo trascorso a Vienna, è redattore presso il terzo canale di Radio Slovenija.

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