La rapida espansione dell’AI sta guidando una trasformazione tecnologica globale, ma a causa delle infrastrutture obsolete da qui al 2030 si potrebbe generare una quantità enorme di rifiuti elettronici
Avete presente 10 miliardi di iPhone l’anno buttati in una grande discarica? Ecco non è, questa, un’immagine virtuale, eppure purtroppo l’intelligenza artificiale c’entra. Eccome. In pratica la rapida espansione dell’AI sta guidando una trasformazione tecnologica globale, però nell’entusiasmo del momento si sono sottostimate le sue crescenti esigenze di calcolo. Infatti, a causa delle infrastrutture obsolete che hanno bisogno di un ricambio generazionale, da qui al 2030 si potrebbe generare una quantità di rifiuti elettronici pari al numero di Melafonini quantificati in apertura di questo articolo. Una quantità che quasi non si riesce a visualizzare.
Lo studio pubblicato su Nature e condotto dai ricercatori dell’Università di Cambridge e dell’Accademia Cinese delle Scienze sta ora spingendo il settore a cercare soluzioni innovative per contenere l'impatto ambientale. Si prevede in pratica che l’industria dell’AI, partendo dalle 2.6 mila tonnellate di rifiuti elettronici generate nel 2023, potrebbe arrivare a produrre tra le 0,4 e le 2,5 milioni di tonnellate all’anno di e-waste entro il 2030, con un incremento di quasi mille volte. E una tale mole di rifiuti porta anche alle complessità del riciclo delle componenti elettroniche avanzate, materiali rari e costosi che si trovano in chip e batterie e che devono essere estratti, riutilizzati o correttamente smaltiti per evitare ulteriori danni ambientali.
Oltre a questo, un altro aspetto cruciale nella crescita del settore AI è il consumo energetico. Ogni volta che un modello di intelligenza artificiale viene addestrato o applicato a dati di grandi dimensioni, richiede enormi quantità di energia. La crescente domanda energetica delle infrastrutture ha portato a una pressione sui sistemi di produzione energetica attuali, con le tecnologie esistenti spesso inadeguate per supportare un’industria in crescita esponenziale. Per far fronte a questa sfida, alcune delle maggiori aziende tecnologiche al mondo, come Google e Amazon, stanno esplorando soluzioni radicali e sostenibili. Di recente, entrambe le società hanno annunciato piani per l’acquisto di minireattori nucleari, dispositivi compatti che producono energia nucleare pulita e continua. Queste strutture, che si prevede entreranno in funzione nei prossimi anni, rappresentano forse l’unica opportunità per le big tech di alimentare le proprie infrastrutture in modo autonomo e sostenibile, riducendo la dipendenza dalle reti elettriche tradizionali e contribuendo a diminuire le emissioni di CO2 associate all’energia di origine fossile.
Tornando alla questione dei rifiuti, lo studio pubblicato su Nature spiega inoltre che le componenti di server e data center, progettate per funzionare a pieno ritmo per anni, finiranno inevitabilmente per diventare obsolete e creare spazzatura digitale. E che sia cruciale iniziare a prevedere e affrontare fin da ora i rischi legati alla rapida espansione. Per valutare l’impatto ambientale dei rifiuti elettronici, i ricercatori hanno infatti modellato diversi scenari, includendo tassi di crescita bassi, medi e alti del settore AI: ognuno di questi stima le risorse di calcolo necessarie per supportare la crescita prevista e quantifica la durata dei server prima di diventare obsoleti. I risultati mostrano che - in tutti gli scenari - il problema dell’e-waste è destinato a crescere, richiedendo una ristrutturazione del ciclo produttivo e del riciclo per evitare una crisi di sostenibilità.
La risposta, a questo punto, è insomma l’economia circolare e dunque il ricondizionamento dei server e la progettazione di apparecchiature modulari, che consentano aggiornamenti hardware senza necessità di sostituzioni complete. Ma di certo bisogna far presto, prima che quei 10 miliardi di iPhone buttati via ogni anno siano solo l’inizio di un peso insostenibile per il mondo del futuro.