Il MoVimento perde pezzi (e voti). E Grillo non se ne dispiace
Genova per loro è sempre stata una fregatura. E per loro intendiamo i Cinque stelle, i pentastellati, gli ex grillini e (forse) ora contini. Perché l’amore fra la città della Lanterna e il popolo che si è radunato attorno al comico ligure, di fatto, non è mai realmente scoppiato, neppure nei momenti di massima espansione del MoVimento. Ad essere maligni si potrebbe dire che chi li conosce li evita. Ma la realtà è più complessa e intricata, almeno quanto gli stretti caruggi del capoluogo ligure. E Genova e la Liguria, anche in queste elezioni, hanno avuto un ruolo a loro modo nodale: perché a poche ore dal clamoroso «licenziamento» nei confronti di Grillo il voto regionale arriva a certificare la dissolvenza di un soggetto politico nazionale. Non solo per la manciata di voti raccolta nella terra del padre (nel momento in cui stiamo scrivendo il M5S è sotto il 5 per cento delle preferenze, ancora peggio del flop delle scorse europee) ma anche per l’ultimo ceffone che Grillo - ferito ma non del tutto azzoppato - ha assestato simbolicamente a Conte, scegliendo il partito del non voto invece che il Movimento 5 Stelle. «Non l'abbiamo visto», ha confermato la presidente di seggio che attendeva «l’elevato» all'Istituto agrario Bernardo Massano di Genova.
E così, con l’ennesima esplosione pubblica di una bega interna, il sogno anticasta naufraga proprio in quei lidi liguri che avevano visto gli albori del MoVimento. E scommettiamo che il comico, blindato nella sua villa sulle colline genovesi, tutto sommato non se ne dispiaccia. Se i grillini non sono più grillini, allora nemmeno Grillo li vota più. Figuriamoci gli altri...