La strage dei bambini a Gorla non sarebbe mai avvenuta senza le colpe di fascisti e nazisti

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Il 20 ottobre 1944 i bombardieri americani arrivarono su Milano. Uno dei loro ordigni prese in pieno la scuola elementare “Francesco Crispi” di Gorla: morirono 184 bambini con insegnanti, assistenti e bidelli, più vari genitori. Furono colpiti da 170 ordigni altri edifici, tra Gorla, Turro e Precotto; in tutto perirono 614 civili, più di un quarto delle vittime civili milanesi durante l’intera guerra (circa 2.000 persone). Perché gli aerei colpirono le case invece delle fabbriche? Erano riusciti a individuare la Breda, ma era stata impostata male la traiettoria di sgancio, senza la possibilità di ripercorrerla. Quindi, poiché era impossibile atterrare con le bombe innescate a bordo, scaricarono su Milano il loro carico.

Ottant’anni dopo non è cambiato nulla: lo testimonia la contabilità degli innocenti massacrati negli oltre cento conflitti interni o tra Stati in corso nel 2024, secondo l’Uppsala Data Conflict Program. Dalla Palestina a Israele, dal Libano alla Siria, dall’Ucraina alla Russia (le guerre più “famose”); dal Sudan alla Birmania, dallo Yemen alla Colombia, dal Kurdistan iracheno all’Afghanistan (tra i conflitti “dimenticati”).

Si può mettere al bando la guerra? Nel 2015 Gino Strada, fondatore di Emergency, ha usato queste parole: “La guerra, come le malattie letali, deve essere prevenuta e curata. […] Possiamo chiamarla ‘utopia’. […] Tuttavia, il termine utopia non indica qualcosa di assurdo, ma piuttosto una possibilità non ancora esplorata e portata a compimento”. Insomma, occorre una costante battaglia culturale e politica. Nell’attesa, tra XX e XXI secolo, da un lato esistono le armi più distruttive, che colpiscono costantemente i non-militari: le piccole vittime di Gorla sono il prototipo degli innocenti sacrificati sull’altare delle guerre. Dall’altro lato, c’è la legislazione sovranazionale più evoluta per quel che riguarda il divieto di ammazzare i civili. Norme disattese spessissimo, ma esistenti.

Di cosa si tratta? L’ho chiesto alla professoressa Antonietta Elia, esperta in Diritti umani e Diritto internazionale (Balsillie School of International Affairs – Canada): “Il diritto internazionale umanitario proibisce gli attacchi ai civili”. Continua: “L’obbligo di ‘trattare con umanità’ la popolazione civile è sancito in primo luogo all’art. 3.1, comune alle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949, secondo cui ‘le persone che non sono parte attiva alle ostilità devono essere trattate in ogni circostanza con umanità, senza avversa distinzione fondata sulla razza, il colore, la religione o il credo, il sesso, o qualsiasi altro criterio simile'”.

Quali sono gli atti vietati? “C’è scritto: ‘Attentati contro la vita e la persona, mutilazioni, trattamenti inumani e degradanti (art.3.1.a); presa di ostaggi (3.1.b); oltraggi alla dignità personale, in particolare trattamenti umilianti e degradanti (3.1.c)’. Non solo. La IV Convenzione di Ginevra del 1949 stabilisce tra l’altro obblighi di protezione generale delle popolazioni civili dalle conseguenze di un conflitto”. Prosegue la professoressa: “Il Primo Protocollo Addizionale alle Convenzioni di Ginevra, dell’8 giugno 1977, nella Parte IV è dedicato alla protezione della popolazione: gli obiettivi civili (case, scuole, eccetera) sono sempre esclusi da attacchi e rappresaglie, non è un’eccezione l’ipotesi di utilizzo a fini militari. L’articolo 51 stabilisce l’obbligo di protezione generale della popolazione e impone il divieto di attaccare la popolazione civile, di diffondere terrore (paragrafo 2), di effettuare attacchi indiscriminati non specificamente diretti a obiettivi militari (paragrafo 4)”.

Purtroppo la realtà ci mostra il mancato rispetto, anche nel 2024, dei principi citati. Durante la Seconda guerra mondiale invece cosa successe? I massacri commessi dalle truppe schierate contro i nazifascisti e loro complici non sono stati (quasi) mai sanzionati, al contrario di ciò che è capitato a una parte dei responsabili degli orrori commessi in nome di Hitler o Mussolini. A proposito di processi, lo Statuto di Roma (17 luglio 1998) ha dato vita alla Corte penale internazionale (Cpi), con sede all’Aja (Olanda), per perseguire i “crimini più gravi, motivo di allarme per l’intera comunità internazionale”: quelli contro l’umanità, quelli di guerra, i genocidi e le aggressioni. Però, tranne rari casi (come ex Jugoslavia e Ruanda), i colpevoli la fanno quasi sempre franca. Bisogna arrendersi di fronte all’evidenza? No. Bisogna sempre guardare a quell’orizzonte oltre il quale non ci sono più guerre. Non c’è alternativa.

L’anniversario della strage degli innocenti avvenuta a Gorla offre l’occasione per un’ulteriore riflessione: c’è chi scatena guerre e genocidi e c’è chi si difende, talvolta commettendo errori che si trasformano in crimini. Ma non si può mettere tutti sullo stesso piano. In parole povere, per esempio, nazisti e fascisti non possono equiparati a coloro che hanno combattuto per sconfiggerli, neppure quando questi ultimi sono stati responsabili di atrocità. Così come non si possono equiparare la resistenza partigiana e la violenza fascista o nazista.

Lo storico Alessandro Barbero ha sostenuto che “in guerra succedono continuamente crimini ed errori, […] sono i singoli che li commettono”. Continua: occorre “capire se si tratta di azioni che capitano inevitabilmente durante una guerra (e che non sono in nessun modo incoraggiate dai comandi), oppure se tali crimini sono ufficialmente ammessi e rivendicati, come parte del programma di una delle parti in causa. Nel caso del nazifascismo è così: […] ha inventato le camere a gas; […] uccidere intere popolazioni faceva parte di un programma dichiarato; […] le torture e gli eccidi hanno accompagnato la condotta di guerra fino all’ultimo giorno. […] Nessuno può permettersi di dire che le parti in causa si equivalevano e che, se avesse vinto Hitler, sarebbe stata la stessa cosa”.

Però è inevitabile che bruci ancora la memoria dei bombardamenti alleati sull’Italia occupata dai nazifascisti. Nel nostro Paese soltanto durante gli anni 90 si è iniziato a discuterne in campo storiografico.

Su Treccani.it la storica Claudia Baldoli ha esaminato la costruzione delle diverse memorie dei bombardamenti nel Nord Italia. Scrive che “le vittime sono ricordate, a seconda delle volte, come popolazioni civili resistenti alla violenza di una guerra voluta dal fascismo e all’occupazione tedesca; oppure, al contrario, come innocenti e perfino martiri – cadute per il volere di un nemico che si presentava come alleato liberatore”. Quest’ultima strada è scelta spesso dalla destra post-fascista. Continua la professoressa: “In seguito allo sgretolamento dei partiti ‘nati dalla Resistenza’ e al ritorno del (neo)fascismo al governo dal 1994, […] è riemersa la seconda versione, talvolta strumentalizzata dall’estrema destra in un recupero quasi pari passu della retorica della Repubblica sociale” mussoliniana. Tanto che quella destra ha suggerito persino un’assurda “comparazione fra i bombardamenti alleati e la Shoah, ripresa da storici revisionisti in tempi recenti”.

Questo è un tranello che chi non ha nostalgia del fascimo dovrebbe schivare: se Mussolini non avesse scatenato la II Guerra mondiale alleandosi con Hitler, quella bomba che uccise 184 bambini a Gorla non sarebbe mai caduta. Per non parlare degli altri immani errori voluti o provocati dal nazifascismo.

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