Landini pensa solo al governo ma la Fiom fa il suo mestiere: vertenza per salario e orari

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La priorità del leader è l'opposizione a Meloni, quella dei metalmeccanici invece è il contratto

 vertenza per salario e orari

Meno male che c'è ancora qualcuno che sciopera per il salario, per uno straccio di futuro, per sopravvivere alle macchine. Sono battaglie sindacali ormai non più così scontate, come se non avessero più la dignità della protesta. Tutta roba da metalmeccanici, appunto. I delegati di Fim, Fiom e Uilm si sono alzati dal tavolo delle trattative con gli industriali. Si sono incontrati per otto volte e non hanno trovato uno straccio di accordo. Non hanno parlato di guerre, clima e apocalissi varie, ma di quella cosa vecchia e sporca che è il contratto collettivo di lavoro. Gli operai chiedono di più e quelli che una volta venivano chiamati padroni sostengono che quegli aumenti non possono permetterseli. Ci sono poi questioni importanti come il welfare, il precariato, l'orario di lavoro, la trasparenza degli appalti. C'è la voglia di capire che spazio resta per gli operai in una società ogni giorno meno umana. È storia antica e finisce di solito, dopo confronti e musi duri, con il miglior compromesso possibile. È il ruolo del sindacato in una società liberal democratica: tutelare i lavoratori, sperando che non siano ormai tutti pensionati. Non hanno ancora scelto la data dello sciopero, ma ci sarà a breve, forse la prossima settimana. Non scenderanno in piazza per un vago desiderio di prendersi il centro della scena. La fabbrica infatti non è un teatro.

L'orizzonte di Maurizio Landini non è più questo. La Fiom è un vestito che ha dismesso da tempo. Adesso si sente un leader politico prestato al sindacato. Non ha il fastidio di candidarsi alle elezioni, ma l'ambizione di diventare il punto di riferimento di una sinistra povera, secondo lui, di carisma e voglia di mettersi in gioco. Landini si presenta in piazza come l'uomo in rivolta, quasi come Camus.

Solo che la rivolta di Landini sta diventando sempre più metafisica, fuori dalla storia, per inseguire lo spettacolo del nulla. Non è lui l'uomo di Camus. Landini gioca con le parole e non sempre sa quello che sta facendo. C'è un principio di irresponsabilità nella sua azione politica. Eccolo, per esempio, che va sul palco e invita tutti alla «rivolta sociale». Contro chi? Contro un governo che non ha una responsabilità concreta, ma una colpa appunto metafisica. È un governo da abbattere perché a noi, a me, non piace. È un governo illegittimo per irritazione personale. Solo che questo rifiuto della democrazia diventa bandiera sindacale, dove si arruolano tutti quelli che sognano una «rivoluzione» contro i valori liberali e democratici. Lo sciopero del 29 novembre, con la scusa di contestare la manovra, sarà l'occasione per radunare i nemici dell'Occidente: dai putiniani ai simpatizzanti di Hamas.

È lo sciopero per lo sciopero, spettacolo di arte varia dei professionisti della protesta globale. Alla fine nessuno si ricorda del perché si sciopera. Il salario, per Landini e i suoi amici, odora di miseria. È troppo meschino per una rivolta.

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