Politica, economia e cultura del Grande Mediterraneo
Mondo - 8 Novembre 2024
di Claudia De Martino
La mattina del 6 novembre, improvvisamente, il mondo si è svegliato in un’altra epoca, contrassegnata da alta imprevedibilità, maggiore autarchia, crescente autoritarismo, forte instabilità nelle relazioni internazionali e illecita concorrenza in economia. A volte i cambiamenti sono lenti e graduali a germinare, altre sono istantanei e parzialmente decifrabili come quello avvenuto a seguito delle elezioni presidenziali americane. In ogni caso, qualsiasi siano le lenti attraverso cui leggere il futuro, la quarantasettesima Presidenza Usa segna il ritorno di Donald Trump, nonostante i suoi numerosi processi penali in corso o e l’assalto alla democrazia a Capitol Hill del 6 gennaio 2021, e l’inizio di una nuova era saldamente a maggioranza repubblicana con il probabile controllo del Congresso, tale da schermare completamente la nuova Amministrazione al potere e conferirle i numeri per operare una virata totale in politica estera.
La prima vittima della nuova politica estera isolazionistica Usa sarà l’Ucraina, che non godendo più dell’appoggio militare e finanziario Usa, dovrà cedere alle pressioni dei russi, abbandonando ogni velleità di riconquistare le regioni dell’est, ovvero il Donetsk e Lugansk, annesse da Mosca nel 2022 (e men che mai la Crimea), nonché rinunciare definitivamente alle sue offensive diversive in territorio russo nelle regioni di Kursk e Belgorod e forse vedere Mosca avanzare fino a Kharkiv. Il risultato sarà sì una pace, ma punitiva per l’Ucraina, attraverso un negoziato sbilanciato a favore dell’aggressore, che rinforzerà nel mondo quella parte dell’opinione pubblica e della comunità internazionale che credono nel ritorno ad una politica di potenza e nella ricostituzione di infrangibili aree di influenza nelle relazioni internazionali.
La seconda vittima sarà l’Europa, che sarà costretta a rivedere in profondità le proprie politiche di sicurezza e investire molte più risorse nella costruzione di una difesa congiunta europea, raggiungendo la famosa soglia del 2% del Pil per finanziare la Nato, affrontando il rischio di fratture interne all’Unione tra Stati membri con differenti percezioni della minaccia russa e opinioni pubbliche tendenzialmente contrarie agli investimenti in sicurezza a danno di altri beni pubblici come salute, istruzione e benessere. È probabile che i Paesi baltici e scandinavi, che si trovano in prima linea sul fronte con Mosca, premeranno per maggiori garanzie di sicurezza europee difronte ad un traballante articolo 5 della Nato, che una Presidenza Trump potrebbe semplicemente non attivare in caso di emergenze che riguardassero strettamente il continente europeo.
La terza vittima, infine, saranno i Palestinesi a vantaggio del resto del Medio Oriente, che invece aveva largamente scommesso su Trump. In questa nuova epoca che si apre, la “questione palestinese” sarà definitivamente archiviata, dal momento che Trump riprenderà la sua opera esattamente lì dove l’aveva lasciata: ovvero dopo lo spostamento dell’ambasciata Usa a Gerusalemme (per altro mai rettificata dall’Amministrazione Biden), la chiusura della rappresentanza dell’OLP a Washington, l’approvazione dell’annessione di Gerusalemme est e delle Alture del Golan – poi ribattezzate “Ramat Trump” – da parte di Israele, e l’annuncio di “un piano di pace del secolo” che, in definitiva, prometteva agli Israeliani l’annessione dell’area C della Cisgiordania a fronte di una piccola autonomia per le aree palestinesi e ricompense monetarie per i rifugiati sparsi nei Paesi limitrofi in cambio della loro rinuncia al ritorno.
Vi è da attendersi che le prossime mosse comprenderanno una serie di passi per la fine del conflitto secondo la prospettiva israeliana, come la costruzione di una “barriera di sicurezza” nel sud del Libano e un’altra analoga nel nord della Striscia di Gaza, un accordo in chiave transazionale con l’Egitto su una possibile cogestione del corridoio di Philadelphia e la costituzione di una nuova agenzia per gli aiuti umanitari ai Palestinesi che sostituisca l’Unrwa. Tale agenzia dovrebbe continuare ad essere finanziata da donatori internazionali ma essere sottoposta ad uno stretto controllo israeliano, annullando al contempo tutte le rivendicazioni storiche palestinesi, ovvero facendo decadere i titoli di assistenza dei rifugiati del ’48 e del ’67, per provvedere unicamente ai bisogni emergenziali dei nuovi rifugiati prodotti dall’attuale Operazione “Spada di ferro”.
Infine, è probabile che la nuova Amministrazione Trump conceda al Primo ministro israeliano Netanyahu l’opportunità di riavvicinarsi ai Paesi sunniti e alle petromonarchie del Golfo espandendo gli Accordi di Abramo in chiara funzione anti-iraniana ma superando l’ostacolo dello Stato palestinese attraverso una vaga promessa di autonomia che permetta a tali Paesi di aggirare il veto posto dalle rispettive opinioni pubbliche. Trump potrebbe, ad esempio, decidere di trattare bilateralmente direttamente con i Paesi più recalcitranti ma più economicamente deboli, come il Regno hashemita di Giordania, promettendo loro ingenti investimenti e fornitura di armi Usa in cambio di maggiore flessibilità sul dossier palestinese.
In ogni caso, con Hezbollah fortemente indebolito in Libano e un nuovo equilibrio regionale decisamente sfavorevole all’Iran, è ragionevole credere che i Palestinesi – che non saranno né militarmente né politicamente più protetti da nessuna forza regionale e lasciati soli ad affrontare uno Stato d’Israele ulteriormente rafforzato militarmente, nonché imbarbarito dal recente conflitto e guidato da un governo di estrema destra che punta all’annessione dell’intera Palestina superstite – siano confrontati a due scelte altrettanto disperate: quella di cedere nuovamente alla violenza, avviando una terza intifada popolare nella sola Cisgiordania (essendo Gaza stremata, ridotta alla fame e sottoposta ad una rigida occupazione militare), o quella di sottomettersi arrendevolmente al nuovo regime di apartheid senza più alcuna velleità di fare appello ad un diritto internazionale ormai in via di dismissione.
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