Moldavia spaccata dal referendum per aderire all’UE: il sì vince di un soffio

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Mancano ancora una decina di seggi da scrutinare, ma l’atteso risultato del referendum moldavo sull’adesione del Paese all’Unione Europea sembra ormai definito: la Presidente Maia Sandu ha vinto la scommessa delle urne per appena una decina di migliaia di voti, riconsegnando, in sede di consultazione, un Paese spaccato a metà. Il risultato pare rispecchiare la cronica divisione interna della stessa Moldavia: da una parte, gli europeisti del governo centrale, con lo sguardo rivolto verso Bruxelles, e, dall’altra, i russofoni della Gagauzia o della separatista Transnistria, inclinati verso Oriente. Anche le elezioni presidenziali, svoltesi parallelamente al referendum, sembrano rispecchiare questa sostanziale spaccatura. Maia Sandu risulta ampiamente avanti rispetto ai rivali, ma non riesce ad assicurarsi la rielezione al primo turno, e al ballottaggio dovrà vedersela con il candidato filorusso Alexandr Stoianoglo, che probabilmente potrà godere del sostegno degli esponenti degli altri partiti più vicini a Mosca. Decisivo nel definire la rottura del Paese, il fronte degli astenuti, pari a poco meno della metà degli aventi diritto.

I risultati del referendum moldavo sull’adesione all’Unione Europea erano particolarmente attesi. Esso è stato promosso dalla stessa presidente uscente Sandu e approvato formalmente dalla Corte Costituzionale il 16 aprile, e poneva ai cittadini una semplice domanda: Sostieni la modifica della Costituzione in vista dell’adesione della Repubblica di Moldova all’Unione Europea?”. Con la vittoria del sì, verranno introdotti due nuovi paragrafi al preambolo della Costituzione, uno che “riconferma l’identità europea del popolo della Repubblica di Moldova e l’irreversibilità del percorso europeo” e un secondo che “dichiara l’integrazione nell’Unione Europea un obiettivo strategico della Repubblica di Moldova”. Dopo il 99,46% dei seggi scrutinati, il sì risulta avanti con il 50,42%, dato che conferma pienamente la spaccatura interna al Paese. Se infatti da un lato il governo centrale ha una posizione ampiamente vicina all’Europa, dall’altro sono molti i politici, e le regioni, a essere ancora legate alla Russia. Malgrado la preannunciata vittoria del fronte del sì, insomma, non è scontato che gli eventuali negoziati di adesione vengano avviati senza contestazioni da parte delle realtà separatiste o semplicemente più vicine a Mosca.

Parallelamente al quesito referendario, i cittadini sono stati chiamati a decidere il nuovo presidente del Paese. Maia Sandu, che corre con il Partito di Azione e Solidarietà per il suo eventuale secondo e ultimo mandato, ne è uscita pienamente vincitrice, con il 42,31% dei voti, ma non è riuscita a farsi riconfermare al primo turno. Secondo posto per il candidato filorusso del Partito Socialista, Alexandr Stoianoglo, con il 26,09%, e terzo per un altro filorusso, Renato Usatii, con il 13,77%. Malgrado la presenza di molti più candidati orientati verso oriente, in molti danno per scontata una vittoria di Sandu al ballottaggio, che si terrà domenica 3 novembre. Risulta comunque interessante notare che, sommati, i voti presi dai politici considerati vicini a Putin risultano all’incirca gli stessi di quelli ottenuti dai candidati più europeisti. Malgrado la frammentarietà, anche le presidenziali mostrerebbero insomma, un Paese con due forti tendenze contrastanti equiparabili nell’intensità: da un lato quella filoeuropa e dall’altro quella filorussa.

Ancora limitati i commenti da parte delle varie forze politiche: ieri sera, quando il no al referendum sembrava nettamente in vantaggio, Maia Sandu è corsa subito ai ripari, denunciando brogli e tentativi di influenza esterne. Dal canto suo, proprio nelle ore serali, Ilan Shor, uno dei leader dell’opposizione filorussa, ha reclamato la sconfitta della campagna referendaria di Sandu. Curiosamente, pochi paiono essersi soffermati sul dato dell’affluenza, che restituisce un Paese ancora più spaccato a metà in quello che doveva essere uno dei voti più importanti della storia del Paese.

Il quesito referendario posto ieri ai cittadini della Moldavia si configura come una consultazione di portata storica per il Paese. Da sempre divisa tra Russia ed Europa, che si contendono l’influenza sul Paese, la Moldavia è un piccolo Stato situato a cavallo tra l’Ucraina e la Romania. Un tempo parte della Repubblica Socialista Sovietica Moldava, una delle repubbliche di cui si componeva l’URSS, i suoi confini sono ancora oggi offuscati: con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, la regione della Transnistria annunciò unilateralmente la propria indipendenza come Repubblica Moldava della Transnistria, il 2 settembre 1990. Tale dichiarazione di indipendenza precedette quella fatta dalla Moldavia, che avvenne solo ad agosto 1991. Dopo una guerra durata dal marzo al luglio del 1992, venne firmato un armistizio garantito da una commissione congiunta tripartita tra Russia, Moldavia e Transnistria con cui si decise di creare una zona demilitarizzata tra Moldavia e Transnistria comprendente venti località a ridosso del fiume Dnestr. Ancora oggi, la Transnistria non è riconosciuta dall’Occidente. Nell’ultimo periodo, alla questione della Transnistria, si è aggiunta un’intensificazione degli attriti tra il governo centrale e la regione della Gagauzia, la cui presidente, Evghenija Gutsul, risulta particolarmente vicina a Putin, al quale ha chiesto aiuto denunciando presunte «violazioni dei diritti costituzionali» dei gagauzi da parte della Moldavia. In generale, il Paese si colloca in una posizione geograficamente e strategicamente importante: la Moldavia dista infatti circa un centinaio di chilometri dalla città ucraina di Odessa, ed è il Paese più a oriente (a eccezione dell’Ucraina) non ancora sotto diretta influenza russa, a non fare parte di UE e NATO.

[di Dario Lucisano]

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