UE: in due anni almeno 487 persone sono morte in custodia o durante operazioni di polizia

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Negli ultimi due anni, i dati sulla gestione della custodia e delle operazioni di polizia nell’Unione Europea rivelano un numero preoccupante di decessi, suscitando dibattiti accesi sui diritti umani e sulla necessità di riforme. Tra il 2020 e il 2022, infatti, almeno 487 persone sono morte mentre erano detenute o durante interventi delle forze dell’ordine nei 13 Paesi dell’UE che hanno reso noti i dati in merito. I numeri sono stati raccolti da CIVIO, organizzazione spagnola che si occupa di vigilare sull’operato delle autorità pubbliche. Il numero più alto riguarda la Francia, con 107 decessi, seguita da Irlanda (71), Spagna (66) e Germania (60). Nel 1991, l’ONU ha raccomandato agli Stati di tenere traccia di tali dati, tuttavia numerosi Paesi, tra i quali l’Italia, non hanno fornito regolarmente informazioni.

Se si esamina il numero delle morti in base alla popolazione, a detenere il tasso più alto è l’Irlanda, con 1,34 decessi ogni 100mila abitanti nel lasso temporale analizzato, mentre la Spagna ne fa segnare 0,14 e il Portogallo 0,06. Secondo il report, più di un terzo delle morti avvenute in custodia o in occasione di interventi delle forze di polizia tra il 2020 e il 2022 è riconducibile – almeno sulla base di quanto dichiarato dai Paesi che hanno fornito informazioni – alle ferite da arma da fuoco inferte dagli agenti. Sono state però appurate anche altre cause, tra cui l’impiego da parte della polizia di armi all’apparenza non letali, come i taser, spesso utilizzati seguendo protocolli non in linea con le raccomandazioni dei produttori (ad esempio su persone che versano in stato di agitazione). L’organizzazione ha segnalato almeno otto casi di morti dovuti all’uso di taser: quattro in Germania, tre nei Paesi Bassi e uno in Francia. In cinque di questi casi la vittima era malata di mente o agitata. A livello quantitativo, la seconda causa di decesso registrata dall’indagine di CIVIO è quella di morte “naturale”, con 55 decessi segnalati nel periodo di riferimento. Questo termine è stato utilizzato soprattutto dalla Spagna – che in merito ha registrato 27 casi –, spesso senza fornire altre informazioni sul contesto in cui il decesso è maturato.

Nel 1991, l’Onu ha raccomandato ai Paesi di pubblicare i dati sui decessi correlati agli interventi della polizia. Il Portogallo ha iniziato a farlo nel 1997, la Danimarca nel 2012 e la Francia solo nel 2018; I Paesi Bassi pubblicano soltanto i casi su cui indaga la magistratura, l’Irlanda solo quelli su cui ha investigato il Difensore civico. Tolti i casi di Svezia e Slovenia, che riportano i casi di morte dovute alle azioni di polizia, gli altri paesi europei – tra cui l’Italia – non forniscono con regolarità tali informazioni. Dal 2010, la CEDU ha condannato per ben 236 volte Paesi europei per non aver indagato su possibili casi di tortura o maltrattamento e 157 volte per non aver indagato su decessi, tra cui quelli correlati ad operazioni di polizia. La Romania ha 79 condanne per non aver indagato su possibili casi di maltrattamento e tortura e altre 60 per decessi, tra cui spiccano quelli di cinque individui uccisi nel corso di una manifestazione contro il governo. La Bulgaria e l’Italia detengono rispettivamente 57 e 33 condanne per violazioni della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Dal nuovo rapporto annuale di Amnesty International, relativo al 2023-2024, è emerso che nel nostro Paese si stanno verificando, ad ampio raggio, significative retromarce sul fronte del rispetto dei diritti umani. In particolare, il focus è stato stato posto sulle molte inchieste aperte in merito ad abusi e torture che sarebbero stati consumati da membri delle forze dell’ordine e all’«uso eccessivo della forza» da parte della polizia contro «atti pacifici di disobbedienza civile».

[di Stefano Baudino]

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