Germania al voto il 23 febbraio. Friedrich Merz, papabile vincitore delle elezioni tedesche, è sempre stato l'avversario per antonomasia della Cancelliera di ferro
Secondo le previsioni unanimi degli esperti le elezioni tedesche convocate ieri hanno già un vincitore: si chiama Friedrich Merz, ha compiuto l'altro ieri 69 anni ed è il numero uno della Cdu, la democrazia cristiana. È il partito guidato un tempo (per quasi 20 anni) da Angela Merkel, ma non è più lo stesso di allora. Anzi. Sia per quanto riguarda le questioni personali che il posizionamento politico è difficile pensare a una trasformazione più repentina.
Merz è sempre stato l'avversario per antonomasia della Cancelliera di ferro. Nel 2002 era in predicato di diventare capogruppo al Bundestag. Lei pose una sorta di veto e lo condannò all'emarginazione. La delusione fu tale che Merz decise di ritirarsi dalla politica per iniziare una carriera da banchiere. La scelta si è dimostrata fortunata, nel senso che in poco tempo l'interessato è riuscito a mettere da parte una discreta fortuna economica. Lo sgarbo di un tempo, però, non è stato dimenticato. Tornato nel partito, ha scritto qualche tempo fa Der Spiegel, Merz ha sempre avuto un obiettivo, quello di «vendicarsi» della sua rivale di un tempo.
Politicamente ha effettuato una specie di riconversione accelerata. La Merkel, laica ed ecumenica, tendeva ad occupare il centro della scenario politico, mutuando idee e progetti da socialdemocratici e verdi per cogliere il favore dell'elettorato. Merz ha virato con decisione verso destra, con una riscoperta della tradizione cristiana e moderata della Cdu. Ha messo in dubbio soprattutto due pilastri della politica della Cancelliera: l'addio al nucleare deciso nel 2011 e l'apertura ai migranti durante la crisi legata alla guerra in Siria del 2015. Se non avesse paura di danneggiare le sorti del partito nella prossima tornata elettorale, sarebbe con tutta probabilità ancora più duro sull'eredità di Angela. Trovandosi del resto in una compagnia che è sempre più numerosa.
Quando la Merkel andò in pensione fu salutata come si rende omaggio ai grandi statisti dai meriti indiscussi. Oggi sono in pochi a non darle qualche (o addirittura tutte) le colpe per la situazione difficile in cui si trovano la Germania e l'Europa. L'effetto paradossale si potrà notare con tutta evidenza tra un paio di settimane, quando l'ex premier tedesca presenterà il suo atteso libro, «Libertà».
In origine si pensava che il volume, oltre 700 pagine, in uscita contemporanea il 26 novembre nei principali Paesi europei (in Italia lo pubblicherà Rizzoli) si sarebbe trasformato in una specie di celebrazione. Oggi sembra assomigliare sempre di più a una complicata arringa difensiva.
Alla cancelliera e alle sue esitazioni anche in patria viene imputata una tripletta di errori che in questo momento fanno di Berlino il grande malato di Europa. Dal punto di vista della sicurezza non ha fatto nulla per emancipare la Germania (e con lei l'Europa) dalla tutela americana, (con tutti i rischi emersi sin dalla prima presidenza Trump). Per quanto riguarda la politica energetica ha reso il suo Paese vassallo dell'import russo di gas. Quanto al modello economico ha puntato tutto sull'export verso la Cina, che ora non riesce più ad assorbire il surplus tedesco.
In più, sotto la sua leadership, nel 2009, è stato adottato il cosiddetto Schuldenbremse, il divieto di debiti nel bilancio pubblico, che frena investimenti e ripresa.
È
l'unico errore, quest'ultimo, che il grande nemico Merz, almeno per il momento, non le rimprovera. Per gran parte della Democrazia cristiana tedesca la regola, vituperata dagli economisti, resta ancora un dogma indiscusso.