Daniele Priori 29 ottobre 2024
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Un contributo inestimabile alla canzone italiana. Con queste parole la giuria del Premio Tenco tenutosi nei giorni scorsi a Sanremo ha voluto rendere omaggio alla grande carriera di Tullio De Piscopo. Batterista, cantautore e divulgatore della grande musica italiana vista da una orgogliosa prospettiva partenopea. Sempre nella Città dei Fiori, De Piscopo ha incontrato oltre 1200 studenti per raccontare in una masterclass (a cura di Marika Amoretti con Fausta Vetere, Carmine Aymone e Stefano Senardi). il suo percorso artistico e umano nel quale, tra i tanti grandi coi quali ha collaborato, ha avuto un posto speciale proprio Pino Daniele. «La standing ovation dell’Ariston è stata meravigliosa» racconta il maestro 78enne a Libero. «Il premio era per I suoni della canzone, cioè tutto quello che sta intorno alla canzone. Un premio importante perché stavolta ad essere premiato è stato lo strumentista che ha collaborato ai suoni. Per questo ho detto che lo voglio condividere con tutti gli amici musicisti che negli anni hanno collaborato a tutti i grandi successi dei cantautori».
Tullio, la musica è anzitutto un vizio di famiglia per lei: suo padre, suo fratello e poi lei che, ha detto, suona proprio per rendere giustizia a suo fratello scomparso a soli 21 anni. È ancora così?
«Certo. Io continuo a essere sempre con mio fratello Romeo. Tutto quello che ho fatto e continuo a fare è per lui che lo avrebbe fatto meglio di me. Era un grandissimo batterista. Ma si è rivolto a Dio troppo presto, a soli 21 anni. Ione avevo 11. Quel giorno ho visto una salita enorme davanti a me. Era la salita della vita».
Una vita che poi l’ha portata a incontrare i più grandi della storia in assoluto. Tra questi proprio Pino Daniele.
«La lezione che gli ho dedicato è stato un momento bellissimo. Quando vidi entrare i ragazzi ho temuto che avrebbero messo la testa sul telefonino e via...Invece no. Sono stati attenti a tutto, regalandoci applausi. La loro prof mi ha detto poi che tanti al ritorno sul treno cercavano su internet notizie su Pino Daniele. Questa è una vittoria».
Una lunghissima amicizia artistica e umana, la sua con Pino, terminata col tour mondiale che è stato proprio l’ultimo...
«Sì, lo cominciammo nel 2013 e continuammo nel 2014. L’ultima data l’abbiamo fatta al Forum di Assago lunedì 22 dicembre 2014. Poi è arrivato Natale e il 4 gennaio 2015 di sera purtroppo Pino ci ha lasciati».
Durante quel tour vide Pino particolarmente stanco?
«Anche io venivo da un’esperienza di malattia. Pensi che aveva già preso un batterista, però non si trovava bene e mi disse che avrebbe voluto condividere con me quel tour bellissimo che ci avrebbe portati in Inghilterra, in Belgio e in tutto il SudAmerica. Io chiesi ai medici che mi diedero il permesso così ci avventurammo alla grande. Coadiuvati dalla maestria di Rino Zurzolo e Elisabetta Serio al pianoforte e tastiere. Eravamo noi quattro».
A proposito di SudAmerica, con Piazzolla il feeling è stato immediato. Poi è nato Libertango...
«Quando è uscito Libertango, con chitarra e basso elettrici, hanno gridato allo scandalo. Poi col tempo hanno capito che avevamo fatto un lavoro incredibile che girò tutto il mondo».
I luoghi nei quali si compone e si suona quanto influenzano la musica? Le dico due luoghi non casuali: la sua Napoli e Sanremo.
«Per quanto riguarda me, la mia personalità l’ho creata attraverso le mie origini: Napoli. Nel mio groove, nei miei ritmi, ho voluto portare il rumore di Napoli. Come si suona il clacson a Napoli non si suona in nessuna parte del mondo! Ho voluto portare tutto questo sullo strumento, usando poi nel jazz e nel funky pop-rock la scala melodica napoletana, la settima».
A Sanremo 1988 arrivò Andamento lento, un altro turning point della sua carriera. Che ricordo ha di questo brano?
«Anche lì ho voluto mettere Napoli...Alelai Alelai Alelai...vien’appriess’ a me”. Io non ero andato a Sanremo per vincere. Anzi, con Andamento lento sono arrivato ultimo: ventesimo! Però poi sono rimasto sette mesi primo in classifica. Ora sì e no si rimane in classifica una settimana. In famiglia lo chiamiamo Santo Andamento lento perché ci ha dato modo di comprare una casa. La casa che la mia famiglia meritava. Con due scrivanie. Una per Giusy e una per Micaela. Cioè con due stanze per loro, due docce. Le dico questo perché io non ho visto mai una doccia in vita mia da piccolo. Andavamo alle docce comunali. E invece proprio grazie a Santo Andamento lento ho preso una casa con quattro bagni!!!
(Ride fragorosamente)».
Dove si trovava?
«Si trova a Milano. Ci vivo ancora. E chi si muove?!?».
Quindi anche lei, proprio come Pino Daniele, è andato via da Napoli. Perché?
«In realtà non siamo mai andati via da Napoli. La dimostrazione sta nel fatto che Pino ha continuato a scrivere Napoli. Pino, come anche io, abbiamo fatto delle grandi denunce. Nel 1976 avevo fatto A cozzeca. Però Pino ha avuto il coraggio, che io non ebbi, di dire che Napoli era ‘na carta sporca...E nisciuno se ne ‘mporta”. Pino con ‘Na tazzulella ‘e café ha denunciato i grandi appalti immobiliari. Quelli che ti ubriacavano di caffè per non farti ragionare... Pigliammece ‘o café... Capito?»
Forse è proprio per questo che è nato quello strano sentimento tra Pino e la sua Napoli?
«Il fatto è che per scrivere certe cose devi morire di fame, sennò non viene fuori niente. Pino quando all’inizio andava a Roma, dormiva nei giardinetti. Non aveva dove passare la notte. Poi la mattina andava in giro per vedere chi potesse pubblicare la sua musica. E proprio prima di quell’ultimo tour, dall’attico che aveva sopra piazza Mazzini, mi fece vedere il giardinetto dove dormiva. Quando mi cucinava c’era sempre un po’ di ricotta di bufala che lui prendeva dallo stesso salumiere che da ragazzo gli offriva la colazione gratis. Non l’aveva più abbandonato...Pensi che storia!»
Lei è un tutt’uno col ritmo della sua batteria ma oggi la grande malata è la melodia...È così?
«C’è una crisi di identità nella musica e negli artisti. La composizione è pazzesca. In molte composizioni non c’è il ritornello, il famoso inciso che si ripete. Però è un modo dei nostri giorni di comporre. La cosa tremenda è l’elettronica che ancora non se ne va...Mi fanno ridere quando mi chiedono: Tullio, fammi una batteria e mettimela sulla chiavetta. Ma io ribatto sempre: come faccio a mettere la batteria in una chiavetta? Non c’entra! (Ride) Speriamo nel ritorno dell’acustico».
Magari coi tanti bravi giovani cantautori che pure ci sono ma purtroppo non emergono...
«Non emergono perché ci vorrebbero persone capaci che non guardino solo l’interesse. Dovrebbero individuare il giovane bravo, umano, non presuntuoso, non rompicoglioni e darsi alla produzione. Ma se tu cominci a pensare solo come sfruttarlo, non viene fuori niente».
Un giovane che ce l’ha fatta è sicuramente Geolier, rapper di nuova generazione, napoletano come lei. Cosa ne pensa?
«È un fenomeno incredibile. Ha 2 milioni di visualizzazioni... Non a Napoli però! A Milano e nel mondo. Gli adolescenti milanesi lo conoscono tutti. Io spero che lui continui sempre sue questa strada, senza andare a prendere cose oltremanica o oltreoceano».