Giornalista e scrittrice
Media & Regime - 16 Novembre 2024
Dallo scorso 8 novembre potete gustarvi su Netflix la nuova serie tv spagnola Rapina al Banco Central, composta da 5 episodi e diretta da Daniel Calparsoro, sceneggiata da Patxi Amezcua sulla base della ricostruzione del libro firmato da Mar Padilla.
E’ godibilissima, perché l’ambientazione è perfetta, il ritmo equilibrato e solletica senza dubbio i recenti ricordi della Casa di Carta che ha stregato milioni di persone. Mentre lì eravamo dentro una dimensione fantastica che faceva sognare l’assalto agli strapoteri finanziari (Musk sembrava lontano), la Rapina al Banco Central ci porta dentro la realtà.
Infatti, la storia è basata sulla vera rapina messa a segno a Barcellona nell’edificio della Banca centrale il 23 maggio 1981, quando undici uomini mascherati e armati, guidati dal leader José Juan Martínez Gómez – interpretato da Miguel Herrán, appunto Rio ne La casa di carta – presero in ostaggio oltre 200 persone chiedendo al governo spagnolo la incredibile liberazione dei golpisti che il 23 febbraio precedente avevano tentato senza successo l’assalto allo Stato, guidati dal colonnello Tejero, indimenticato fascista che voleva scongiurare il futuro democratico della Spagna. In realtà, con Tejero e gli altri arditi non avevano nulla a che fare; ma non sto qui a raccontarvi la trama, piuttosto a riflettere su cosa ci riguarda in quella avvincente storia che ha alle spalle una non troppo lontana tragedia – la dittatura franchista.
Il nostro Josè-Rio è un perfetto criminale dedito alle rapine in banca che realizza come andasse in ufficio: questa sua tranquillità gli deriva da un particolare addestramento ricevuto durante la dittatura, essendo stato inserito in un gruppo speciale di agenti provocatori che in quel contesto gli aveva dato un posto sicuro e una certa professionalità – ‘non so fare altro’, dice alla moglie incinta che quel giorno lo accompagna alla porta con particolare ansia, come avvertisse l’avvio di una giornata particolare.
Il suo status è sempre stato quello di un criminale, non è mai entrato a far parte della Guardia civil, non è un agente segreto, è un uomo a loro totale disposizione. L’assalto al banco centrale gli viene in effetti commissionato allo scopo di recuperare dei documenti delicatissimi che possono consentire ai vecchi uomini del franchismo una transizione nel nuovo regime a suon di ricatti: Josè in cambio ne avrà la rapina di una montagna di soldi.
La vicenda ricorda il famoso assalto alla romana Brink’s Company del 23 marzo 1984 guidato dal falsario (anche lui indimenticato) Tony Chichirelli, già uomo della Banda della Magliana e dei servizi, per conto dei quali aveva scritto nell’aprile del ’78 il falso comunicato ‘della Duchessa’ che indicava in quelle acque il luogo del ritrovamento del corpo di Aldo Moro: un personaggio che nella vita è stato un José Juan Martínez Gómez in salsa italiana e che durante quella grassa rapina volle farsi passare per le Brigate rosse. Si portò via un bottino importante e i documenti delle cassette di sicurezza di diverse personalità dell’epoca, parlamentari e uomini legati ai servizi informativi.
La similitudine dei due fatti criminali è molto forte, ma ciò che colpisce ancor di più nella serie spagnola è la capacità di regista e sceneggiatori di mostrare con grande semplicità un fatto complicatissimo del ‘900 italiano e occidentale: l’uso delle strutture ‘parallele’ per deviare il percorso della democrazia. Pensavamo che di più non si potesse azzardare, poi è arrivato sempre lui, Elon Musk.