"Reagiamo alle atrocità israeliane". Erdogan rompe le relazioni diplomatiche con Tel Aviv

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Il presidente turco cerca di intestarsi un ruolo di guida frale nazioni islamiche, oltre che di "padrino" della causa palestinese

"Reagiamo alle atrocità israeliane". Erdogan rompe le relazioni diplomatiche con Tel Aviv

Un (nuovo) muro di silenzio è sceso tra Ankara e Tel Aviv. Ad annunciarlo, il presidente turco Recep Erdogan che ha comunicato la rottura delle relazioni diplomatiche tra Turchia e Israele. "Noi, come governo della Repubblica di Turchia, abbiamo attualmente interrotto le relazioni con Israele. Al momento non abbiamo alcun rapporto con Israele e non abbiamo adottato alcuna misura per migliorare queste relazioni in futuro" ha riferito ai cronisti turchi sul volo di ritorno dalla sua sua visita in Arabia Saudita ed Azerbaigian. "Il paese che ha reagito più forte alle atrocità israeliane nel mondo e ha compiuto il passo più concreto su questo tema, incluso lo stop al commercio, è senza dubbio la Turchia".

Non di certo un fulmine a ciel sereno, considerate le burrascose relazioni fra i due Paesi che avevano comunque vissuto un recente riavvicinamento-interessato-ma comunque tale. Che, tuttavia, non ha evitato la schizofrenia del passare dalla normalizzazione allo scontro aperto, legato anche all'idiosincrasia personale tra Erdogan e Benjamin Netanyahu. Netanyahu e Erdogan avevano avuto un bilaterale a New York il 20 settembre 2023, pochi giorni prima del 7 ottobre. Incontro che era stato il coronamento di un lento processo di riavvicinamento tra due Paesi, che proprio a causa delle vicende palestinesi, non si erano parlati per anni. Altrettanto importante è stato il lento processo di normalizzazione che ha visto negli ultimi anni la Turchia riallacciare i rapporti con Paesi come Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita ed Egitto.

Solo due giorni fa, il presidente turco era intervenuto all'Assemblea della Lega Araba in programma a Riad per chiedere al mondo islamico di reagire contro Israele: "L'offensiva senza sosta su Gaza, le continue violenze in Cisgiordania, sono la prova che stiamo andando verso l'annientamento dei palestinesi. Cancellare le Nazioni Unite dai territori è la prova dei piani di Israele. A questo punto è vitale isolare Israele", aveva tuonato Erdogan contro l'Assemblea. Una filippica che aveva l'intento di essere una reprimenda per i Paesi del Golfo, silenti sulle sorti della sempiterna guerra in Medio Oriente, oltre che rei di aver fornito una "risposta inadeguata" alla guerra a Gaza.

Con questi passi Ankara, fallito il suo ruolo di mediatore Ucraina-Russia all'interno e all'esterno della Nato, ha scelto di giocare su un altro tavolo, forse più congeniale ai propri interessi nazionali. Quello di chaperon internazionale della causa palestinese e di Paese leader nella Umma islamica-sospeso tra tradizione e modernità, Oriente e Occidente. E per farlo, il sultano Erdogan non ha paura di mettersi contro la Nato, i Paesi occidentali e tanto meno altre nazioni islamiche. Non a caso il rientro di un presidente turco in una riunione della Lega Araba dopo tredici anni, è avvenuto proprio in questo momento. A porre fine all'assenza della Turchia presso la Camelot araba era stato lo scorso settembre il ministro degli Esteri di Ankara, Hakan Fidan. Il rientro della Turchia, seppur come Paese ospite, è la conferma del tentativo di Erdogan di re-intestarsi un ruolo di primo piano all'interno del mondo islamico: il leader turco negli ultimi mesi ha, infatti, lanciato continui appelli per un fronte compatto contro Israele.

L'attacco di Hamas aveva visto Erdogan reagire cautamente.

Il recente riavvicinamento e i buoni rapporti con il gruppo palestinese avevano illuso il presidente turco di poter giocare un ruolo in una possibile mediazione. Al contrario i bombardamenti sulla popolazione civile hanno inasprito la sua retorica, che ora si fa strategia per rilanciare i sogni egemonici del sultano.

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