La cantina di Vittoria, nel Sud dell’isola, è condotta dai fratelli Girelli attraverso rigorose pratiche organiche certificate e produce vini estremamente espressivi, come l’ultimo nato Avulisi a base Nero d’Avola, dalla piacevole nota balsamica. E poi ci sono etichette di Frappato, di Grillo, di Viognier e del quasi dimenticato Orisi
Vittoria è una città della campagna iblea, nel sud della Sicilia, fondata nel 1607 dalla contessa Vittoria Colonna Henriquez-Cabrera per colonizzare l'area occidentale dell’antica Contea di Modica. Allora come oggi è un territorio fertile e ubertoso, in cui crescono uve che danno vini di notevole espressività. Tra le aziende che lavorano nel territorio c’è Santa Tresa, azienda vinicola di proprietà di Stefano e Marina Girelli, fratelli trentini da tre generazioni nel mondo del vino, titolari anche dell’azienda agricola Cortese, a pochi chilometri di distanza. Un’azienda che si avvale di tecniche antiche utilizzate con piglio contemporaneo e visione avanguardista. “La Sicilia è un continente – spiega Stefano Girelli -. Il nostro lavoro include tutti gli elementi che concorrono alla tipicità del prodotto: abbiamo investito nello studio dei cicli biologici della fauna e flora terricola, abbiamo esaminato la stratificazione della terra rossa e siamo impegnati nella valorizzazione dei vitigni autoctoni e di tutto ciò che rappresenta il patrimonio enologico e allo stesso tempo culturale dell’isola che è diventata la nostra seconda patria”.
Santa Tresa si trova a 240 metri sul livello del mare e copre 50 ettari dei quali 39 vitati, nei quali sono coltivati soprattutto Frappato e Nero d’Avola, i vitigni che i Girelli hanno trovato quando hanno acquistato l’azienda e che “già dalla prima annata si esprimevano con l’eleganza e la grazia di una ballerina”, dice Stefano. Poi sono stati piantati anche il Grillo e il Viognier, che hanno trovato terreni e condizioni climatiche ideali. E a proposito di terreni, sono rossi e sabbiosi in superficie, poi più giù ci sono uno strato di roccia calcarea e un altro di argilla che trattiene l’umidità e rappresenta una naturale riserva idrica.
I vini Santa Tresa sono tutti bio e certificati. L’ultimo nato, che vi racconto oggi, è l’Avulisi 2019, un Sicilia Riserva doc da uve Nero d’Avola da una vigna del 1964 prodotto in un numero molto limitato di bottiglie, appena 1980. Avulisi nasce da un singolo vigneto dalla coltivazione sartoriale, con rese bassissime (non più di 30 ettolitri a ettaro) che garantiscono grappoli esplosivi. La vinificazione è “integrale”, che si svolge direttamente in barrique: una tecnica che permette l’ottenimento di vini più rotondi, di maggiore volume, maggiore grassezza e complessità. Il vino fiore torna in barrique dove sosta per almeno 12 mesi prima dell’imbottigliamento e di ulteriori sei mesi di riposo in bottiglia prima di entrare in commercio. Un vino dal colore rosso rubino impenetrabile, dal naso di frutti rossi, di cacao, di frutta secca, di spezie, con un magnifico tocco balsamico che testimonia una grande evoluzione. In bocca è lungo, elegante, complesso, mai stancante e con una promessa di longevità.
Gli altri vini dell’azienda sono i rossi Cerasuolo di Vittoria docg (blend di Nero d’Avola e di Frappato), Rina Russa Terre Siciliane igp (un Frappato in purezza), Insieme (un Sicilia doc a base Nero d’Avola senza solfiti aggiunti) e O (da Orisi, un’uva autoctona riscattata da un destino di dimenticanze). I bianchi sono il Rina Ianca (un Sicilia doc 70 per cento Grillo e 30 Viognier) e Insieme Orange (un Terre Siciliane Igp da uve 80 per cento Inzolia e 20 per cento Zibibbo). Infine ci sono il rosato Rosa di Santa Tresa (da uve Nero d’Avola e Frappato fifty fifty) e gli spumanti Il Grillo e Il Frappato, entrambi con metodo Martinotti.
La filosofia biologica di Santa Tresa si basa su alcune pratiche com la confusione sessuale, la gestione del verde, la difesa accurata della vite, la gestione intelligente dell’acqua, usata solo per “soccorso”, l’incoraggiamento
delle piccole specie animali che aumentano la biodiversità, la riduzione della CO2 e il sovescio, che prevede la semina del favino, una leguminosa che poi viene interrata per apportare sostanze organiche naturali ai terreni.