È riesplosa inaspettatamente mercoledì la guerra per procura in Siria, dove l’organizzazione islamista Hayat Tahrir al-Sham (HTS), considerata terroristica da diversi Stati, compresi USA e Turchia, ha lanciato attacchi nella provincia nordoccidentale di Aleppo, controllata dall’esercito regolare siriano del presidente Bashar al-Assad, provocando decine di vittime civili. L’attacco è stato il più intenso dal marzo del 2020, quando la Russia, intervenuta nel conflitto nel 2015 a favore di Assad, e la Turchia, che sostiene i ribelli, hanno concordato un cessate il fuoco, dopo un conflitto per procura durato anni che ha mietuto dal 2011 al 2023 più di 306.000 vittime civili, secondo le Nazioni Unite. Dopo un periodo di tregua in cui sembrava che finalmente il Paese mediorientale potesse ritrovare un minimo di stabilità, si è riacceso lo scontro che vede contrapporsi in Siria diverse potenze internazionali. L’esercito siriano, in un comunicato diffuso ieri dall’agenzia di stampa statale SANA, ha dichiarato che «un attacco terroristico enorme e su vasta scala, con un gran numero di terroristi e l’impiego di armi medie e pesanti», ha preso di mira villaggi, città e siti militari.
L’organizzazione islamista antigovernativa (HTS), ascrivibile all’eterogeneo gruppo di “ribelli” siriani in cui sono confluite le sigle del terrorismo islamico, tra cui l’ISIS, è riuscita ad avanzare di circa dieci chilometri dalla periferia della città di Aleppo e a pochi chilometri da Nubl e Zahra, due città sciite dove la milizia libanese Hezbollah, sostenuta dall’Iran, ha una forte presenza di milizie. Ha attaccato, inoltre, l’aeroporto di al-Nayrab a est di Aleppo, dove sono presenti altresì avamposti delle milizie filoiraniane. Tuttavia, l’esercito regolare siriano (Forze armate siriane), che sta collaborando con la Russia e con altre «forze amiche», ha detto di aver inflitto pesanti perdite all’organizzazione considerata terrorista, mentre l’aviazione russa ha bombardato le aree appena conquistate. I ribelli hanno giustificato l’attacco sostenendo che l’incursione sia stata una risposta all’intensificarsi degli assalti contro i civili condotti nelle ultime settimane dalle forze aeree russe e siriane in aree nella provincia meridionale di Idlib – ancora in mano ai ribelli – nell’estremo nord-ovest della Siria, e per prevenire eventuali attacchi da parte dell’esercito siriano. Dal canto suo, Damasco nega di aver preso di mira i civili: il mese scorso, infatti, aerei militari russi e siriani hanno effettuato attacchi congiunti sulle posizioni HTS nelle province di Idlib e Latakia, prendendo di mira i siti di addestramento e i magazzini dei terroristi.
Il recente attacco avrebbe causato la morte di 65 membri dell’organizzazione fondamentalista (HTS), insieme ad altri 18 combattenti di gruppi armati alleati e a 49 soldati delle forze governative, secondi i dati diffusi dall’Osservatorio siriano per i diritti umani (SOHR). Inoltre, stando a quanto riferito dai media statali iraniani, il generale di brigata delle Guardie Rivoluzionarie, Kioumars Pourhashemi, è stato ucciso ad Aleppo dai ribelli. Da parte sua, la Turchia ha affermato di stare seguendo da vicino gli sviluppi nella Siria settentrionale, prendendo precauzioni per garantire la sicurezza delle truppe turche presenti nella zona. Ankara ha da tempo mire sui territori al confine turco-siriano, lungo il quale vorrebbe costruire una zona di sicurezza profonda 30 chilometri. In questa stessa zona, il presidente Erdogan vorrebbe portare avanti un’operazione militare contro le forze curde, ritenute terroriste dalla Turchia.
La guerra per procura in Siria ha inizio nel 2011: inizialmente, si registrano manifestazioni spontanee di protesta contro il governo legittimo di Assad, ma i movimenti popolari sono contenuti e le riforme costituzionali in senso multipartitico concesse dal presidente siriano riescono a sedare il malcontento popolare. Successivamente, quelle che erano semplici manifestazioni popolari si trasformano in veri e propri attacchi armati da parte dei ribelli antigovernativi che danno vita all’Esercito siriano libero (Fsa), all’interno del quale molto presto cominciano a confluire sigle del terrorismo islamico, tra cui il Fronte al-Nusra e Isil (poi Isis), con l’obiettivo di rovesciare il regime di Assad. Nonostante la presenza dei Jihadisti e dei tagliagole salafiti, il blocco e i media occidentali – che hanno sempre fornito una narrazione distorta della guerra siriana – non esitano a sostenere i cosiddetti ribelli. Le forze antigovernative riescono a impadronirsi di una parte consistente del territorio siriano a partire dal 2014, dando vita allo Stato islamico. Nell’agosto del 2015, il governo siriano controlla solo il 30% del territorio, mentre le sigle islamiste prendono il sopravvento nel Paese. È a questo punto che, il 30 settembre 2015, entra in campo la Russia a fianco di Assad, permettendo di riconquistare buona parte del territorio. Nel 2023 viene ristabilito il controllo su quasi tutto il Paese. È emerso attraverso articoli e documenti che a finanziare le sigle fondamentaliste islamiche sono stati gli Stati Uniti con l’aiuto dei Paesi alleati: l’ex presidente americano Barack Obama aveva autorizzato segretamente la CIA ad armare i ribelli siriani sin dal 2013, attraverso il programma segreto gestito dall’agenzia d’intelligence americana e da quella dell’Arabia Saudita, noto come “Timber Sycamore”.
Dopo alcuni anni in cui il conflitto pareva congelato con la sostanziale sconfitta dei ribelli, sono ricominciati gli attacchi, sia da parte di Israele (contro le milizie iraniane che sostengono Assad e la Palestina), sia ora da parte di organizzazioni ribelli islamiste. Gli interessi tra potenze regionali e internazionali che si combattono sul suolo siriano sono ancora troppo alti per poter concedere la pace al tormentato popolo siriano.
[di Giorgia Audiello]