Sicilia, l’Ars lavora per far slittare ancora il voto sulle province e per conservare la specie

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Fabio Manenti

Fabio Manenti

Giornalista e portavoce del sindaco di Ragusa

Politica - 29 Ottobre 2024

Sicilia, l’Ars lavora per far slittare ancora il voto sulle province e per conservare la specie

Sapete come si chiama un posto dove non fanno andare a votare? Si chiama Sicilia.
Ed è così da più di 10 anni, con buona pace della Corte costituzionale, delle sue sentenze e bla bla bla.

Per capire cosa sta succedendo in una Regione a Statuto specialissimo bisogna risalire all’epoca Renzi. Tra uno “stai sereno” a sinistra e un occhiolino a Berlusconi “il Nazareno”, Matteo si era messo in testa di cambiare l’Italia fino all’osso. Voleva raddrizzarla (?) ma ne uscì fuori una stortura, una riforma sghemba, a metà. Sì alla legge Delrio, no al referendum.

Il risultato fu che le Province non vennero abrogate, ma trasformate in Enti amministrativi di secondo livello con elezione a suffragio ristretto. E che vuol dire? Che l’elezione diretta dei consiglieri provinciali e dei presidenti da parte dei cittadini venne stata sostituita da un’elezione di secondo livello: a votare, e a poter essere eletti, sono solo i sindaci e i consiglieri comunali in carica nei vari Comuni.

Potrà piacere o non piacere ma questa è la legge vigente, che è stata pure dichiarata conforme ai principi della Costituzione ed applicata in tutta Italia. E potrà anche essere o non essere conforme, tanto la Regione Sicilia se ne frega.

Da più di 10 anni i Liberi consorzi, il nome che in Sicilia è stato attribuito alle Province in un rinnovamento che è solo lessicale – “cambiare tutto per non cambiare niente” – sono governati da Commissari scelti dai governi regionali che si sono succeduti. In Sicilia, anziché procedere per votazioni, si va avanti per nomine.

Il Commissariamento delle Province è iniziato a luglio 2014 con la previsione del voto entro l’anno. Poi il termine è stato spostato al 2015, poi al 2016, al 2018 e così via, di rinvio e rinvio. L’ultima data per andare al voto, e di fatto applicare la legge, un concetto che per chi governa dovrebbe essere normale, era stata fissata al 15 dicembre 2024. Ma è ormai chiaro come il sole che all’ombra di Palazzo D’Orleans si lavori al rinvio.

Pazienza che già nel 2023 la Corte Costituzionale abbia censurato il solito, ennesimo slittamento che “consolida, prolunga e aggrava la situazione di sostanziale disconoscimento dagli obblighi della Costituzione. […] A tale situazione – affermò la Corte – deve porsi rimedio senza ulteriori ritardi, attraverso il tempestivo svolgimento delle elezioni dei presidenti dei Liberi consorzi comunali affinché anche in Sicilia gli enti intermedi siano istituiti e dotati dell’autonomia loro costituzionalmente garantita e si ponga fine alla più volte prorogata gestione commissariale”.

Nenti vitti e nenti sacciu, e all’Ars, l’Assemblea regionale siciliana, oggi si lavora a ritmi battenti per un nuovo disegno di legge che rinvii il voto e lo apra al suffragio universale. Bene che a votare (un giorno) saranno tutti i siciliani, male il principio alla base di questa scelta: la conservazione della specie.

In fondo la ragione dei tanti rinvii è sempre quella. Fin quando chi governa a Palermo non avrà sondaggi e garanzie di successo, perché votare e rischiare di perdere? Perché correre il pericolo di passare da un potere commissariato, quindi scelto da chi governa, a una provincia magari retta dall’avversario politico di turno? Ora che la destra “tira”, il governo di destra della Sicilia spera che il popolo “voti meglio” di sindaci e consiglieri comunali.

Di fatto infanto la democrazia viene ancora sospesa, di fatto la Regione Sicilia non applica la Costituzione. Se un cittadino non rispetta la legge, una sentenza, viene punito. E se lo fa chi governa?

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