«Sono io quindi ho ragione». Il degrado dei rapporti umani

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DOMENICA 12 MAGGIO 2024

risponde Aldo Cazzullo

Caro Aldo,
di rientro a Milano per le festivit? pasquali dopo un periodo all’estero, mi rendo conto di come qui nella quotidianit? ormai si scambi la maleducazione per competizione (sempre e in qualunque contesto) e l’arroganza per competenza (le competenze scarseggiano e sono di scarsa qualit? rispetto a ci? che c’? fuori, dove ci sono per davvero). Questa citt? (o forse addirittura il nostro Paese) ha preso una brutta piega. Offrire tante cose, tanti servizi, non significa richiedere a chi vi abita di lottare per meritarseli. Credo che una riflessione seria andrebbe fatta, anche ripartendo dai problemi abitativi da voi trattati anche di recente.
Davide Mazza

Caro Davide,
Pubblico la sua lettera, ma potrei pubblicare quella di Alberto Composta di Verona o di Antonio Castaldo di Gaeta, che nello stesso giorno scrivono pi? o meno le stesse cose. Ho notato anch’io quello che mi scrive Filippo G.: molte persone non salutano e non ricambiano il saluto neppure nelle condizioni in cui un tempo ci si salutava sempre, in un vicolo scuro la sera, o su un sentiero di montagna di giorno. Condivido l’allarme di Walter Manca: i ciclisti che vanno sui marciapiedi, a Milano e non soltanto, sono pericolosissimi, non si rendono conto che il peso di un uomo lanciato in bicicletta pu? ferire o uccidere. Sonia Bianchi racconta una cosa accaduta a molti di noi: ?Un uomo ha inveito contro di me solo perch? gli ho fatto notare che la sua auto ostruiva un passo carraio, voleva pure avere ragione, e nessuno dei presenti mi ha difesa…?. Sono rientrato a Roma dopo una settimana passata a Istanbul. Non a Zurigo; in una megalopoli da diciotto milioni di persone. Ma i turchi, pur nel caos e nel traffico, si rispettano molto pi? di quanto facciamo noi italiani. Un insulto continuo, un’invettiva dietro l’altra, un clacson permanente, pericoli costanti nel totale disinteresse dell’incolumit? del prossimo, una rabbia avvelenata gi? di prima mattina. Da anni ci diciamo che il degrado dei rapporti umani ? la maledizione del nostro tempo, che la cortesia viene confusa con la debolezza, e l’educazione considerata un orpello d’altri tempi. Ognuno ? convinto di avere ragione, anche quando ha palesemente torto, come a dire: ?Sono io, e quindi sono dalla parte del giusto?. Il primo che depone le armi, ringrazia, saluta, sorride, far? partire una catena di Sant’Antonio che potrebbe, se non guarirci, ricordarci che tra tanti guai il bello di essere italiani ? (o almeno era) anche il calore umano, la gioia di vivere.

LE ALTRE LETTERE DI OGGI

Storia

?Mia madre, il vestito della messa ancora nell’armadio?

Mia madre, come molte donne di allora, ha fatto tanti lavori nei campi, sin da bambina: zappare il grano, farne covoni e buttarli sul carro, fare le cime, taglienti, al granoturco pi? alto di lei, tagliare l’erba con la falce, rivoltare il fieno con il tridente. Sotto il sole cocente che le bruciava gli occhi e la pelle in quelle estati che non finivano mai; d’inverno era impegnata a ?tirare? le viti , lavare i panni al fosso ricurva sulla lastra di pietra, ginocchia gelate, con le mani e i piedi diventati ghiaccioli e il respiro gelido. E mai, mai si ? tirata indietro. La guerra vissuta da bambina, la morte del pap? a tredici anni hanno segnato la sua vita. Di ricordi belli mamma non ne ha molti ma quando li racconta, li raccontava, che stretta al cuore, sembrano davvero belli. C’erano le occasioni rarissime e veramente importanti dove poteva sfoggiare un abito nuovo: per esempio quello di velluto nero con il colletto di pizzo bianco. Lo indossava per andare a messa il giorno di festa, poi lo toglieva subito per non sgualcirlo. Il vestito ? ancora nell’armadio, nuovo. Oppure quando bambina interpret? ?La piccola fiammiferaia? con la voce che se ne andava dall’emozione sotto le luci nel piccolo teatro delle suore. O il giorno che fece la Madonna nella processione, bellissima e smarrita nei suoi meravigliosi diciotto anni. Mia madre a mezzogiorno, dopo il rintocco delle campane del paese, d’estate si toglieva il fazzoletto dal capo o d’inverno con la brina, si aggiustava il bavero del cappotto fin sulle orecchie e si guardava le mani. Mia madre ha il sorriso negli occhi. Quel sorriso ? scolpito nel mio cuore. Grazie mamma, ti voglio bene. Sempre.
Graziella Abiatico, Flero (Brescia)

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