Il via libera slitta. Ribera grana nel Ppe. Roma (e Orban) pronti a bloccare tutto
(Nostro inviato a Bruxelles) La fotografia della lunga giornata di audizioni dei sei commissari indicati da Ursula von der Leyen come suoi vicepresidenti esecutivi arriva durante il briefing pomeridiano con gli eurodeputati italiani organizzato dall’ufficio stampa del Parlamento Ue. Una sorta di quadro di Escher, con il dem Dario Nardella che “promuove” l’audizione di Raffaele Fitto ma punta il dito contro la sua carica di vice-esecutivo, non essendo Ecr uno dei partiti che a luglio ha sostenuto il via libera al bis di von der Leyen. Ragione per cui, spiega Nardella, nel voto finale che a fine novembre dovrà dare l’ok alla nuova Commissione non è scontato il «sì» dei socialisti di S&D. Un passaggio, dice invece il capo-delegazione di Fdi-Ecr Carlo Fidanza, nel quale il suo partito non farà mancare l’appoggio, come è scontato che sia per chi esprime una delle sei vice-presidenze esecutive della futura Commissione. Insomma, esattamente il contrario di quanto accaduto a luglio, quando S&D votò per il bis ed Ecr contro. Una sorta di paradosso.
Il ribaltamento di umori e equilibri politici che è la cartina di tornasole di uno stallo complicato da diverse variabili. La prima, gigantesca, è che - al netto della tenuta numerica della cosiddetta «maggioranza Ursula» - le elezioni europee di giugno hanno rivoluzionato gli equilibri del Parlamento Ue. Il Ppe, insomma, ora può permettersi di muoversi con la logica del “doppio forno”, votando a seconda delle convenienze con la sinistra di S&D e Greens o con la destra di Ecr e (di tanto in tanto) Patriots. Di qui la vicepresidenza esecutiva a Fitto e l’inevitabile ostilità di S&D (dove il Pd è prima delegazione per eurodeputati), ben consapevole che i numeri del Parlamento sono ineluttabili e che sarà un legislatura lunga e complessa.
Il punto, però, è se davvero i Socialisti - e quindi il Pd - vogliono farsi carico di far saltare il banco, sul quale gioca la sua partita anche la socialista Teresa Ribera, di fatto e per il peso delle deleghe la numero due di von der Leyen, ma nel mirino dei popolari spagnoli per la tragica alluvione di Valencia (il cuore dello scontro è il «no» al dragaggio dei fiumi della ministra per la Transizione del governo di Pedro Sánchez). Sarebbe questa - e non tanto la vicepresidenza esecutiva a Fitto, che non sembra realmente in discussione - la ragione per cui il presidente dei Popolari Manfred Weber avrebbe chiesto di rimandare il tutto alla prossima settimana. Sperando di abbassare la tensione su Ribera e magari evitare che la sua “promozione” europea le consenta di saltare l’audizione sui fatti di Valencia al Parlamento spagnolo, appuntamento in programma nei prossimi giorni.
Alle richieste di un segnale da parte di Socialisti e Greens, pare che von der Leyen - che ieri ha incontrato i rispettivi capigruppo - abbia risposto freddamente. Mentre Ecr - che, fa notare Fidanza, ha permesso il via libera di due terzi anche a commissari che non hanno spiccato per i loro hearings, come la belga Hadja Lahbib e il maltese Glenn Micallef - avrebbe preferito chiudere la partita già ieri. Andando al voto segreto a maggioranza, infatti, la convinzione del capo-delegazione di Fdi-Ecr è che in commissione Regi Fitto sarebbe andato oltre la decisiva quota di 21 voti. «Almeno di 3 o 4», dice Fidanza.
Alla fine, però, si è deciso di soprassedere, come chiesto da Weber.
Con Giorgia Meloni che è pronta alle barricate: se salta Fitto, l’Italia non farà il nome di un commissario alternativo e bloccherà la Commissione per almeno quattro mesi. Come pure Viktor Orbán, che non ha affatto gradito la graticola a cui è stato sottoposto il commissario ungherese Olivér Várhelyi.