Per la Corte di giustizia rischiano le toghe che non applicano diritto Ue e precedenti
Sui trasferimenti in Albania il primo giudice che ha detto no ha tracciato una strada (quasi) obbligata per gli altri. Quando la sezione immigrazione del tribunale di Roma ad ottobre si è rivolta alla Corte di giustizia europea, riferendosi alla sentenza del 4 ottobre sui Paesi sicuri e non convalidando il trattenimento dei 12 migranti trasportati nei centri oltre l'Adriatico, di fatto ha detto a tutti i suoi colleghi: «Attenzione, c'è un contrasto con la normativa europea e se non fate come me rischiate grosso».
Il rischio si traduce in responsabilità civile personale del magistrato. La Corte del Lussemburgo è stata molto severa su questo punto, in diverse sentenze. Spiega Mario Esposito, ordinario di diritto costituzionale all'università del Salento e docente alla Luiss: «La riforma del 2015 sancisce la responsabilità dello Stato, che può rivalersi sul giudice, in caso di violazione manifesta del diritto Ue, qualificata come ipotesi di colpa grave. Se un giudice non applica il diritto europeo quando c'è sicura prevalenza su quello interno, ne deve rispondere. Ogni Stato si regola a suo modo e da noi per evitare la cosiddetta paura di firma,risponde prima lo Stato e poi il singolo. Mentre però per la responsabilità civile si deve dimostrare il dolo o la colpa grave, quando c'è di mezzo il diritto europeo è un'altra cosa, si va oltre..».
Ecco perché difficilmente si troverà un giudice italiano che esca dal coro e convalidi un trasferimento in Albania di migranti, dicendo che non spetta a lui contestare la lista dei Paesi sicuri contenuta nel decreto legge del governo.
«L'attuazione del diritto comunitario dev'essere uniforme in tutti i Paesi dell'Unione europea - spiega Alfonso Celotto (foto), ordinario di diritto costituzionale all'università Roma Tre - e quando non si rispetta la prevalenza sul diritto interno ci si rivale sugli Stati, che a loro volta si rivalgono sui giudici. Si accerta quanto la mancata applicazione del diritto europeo ha pesato e si condanna a pagare per cattiva attuazione delle regole comunitarie».
Il professor Esposito sospetta che tra le toghe si sia creato «un gioco di specchi, un equivoco manifesto», per indurre tutti a seguire la stessa strada e aspettare la sentenza di Lussemburgo. «Si dice - osserva- che il giudice è costretto a non convalidare, ma in realtà ognuno giudica indipendentemente, ogni caso dovrebbe essere diverso. All'inizio, c'è stato qualche dubbio tra i magistrati, sollevato da chi riteneva di non avere titolo per contestare la lista dei Paesi sicuri. Ma ora l'operazione sarà fortemente rallentata ed è probabile che tutti si uniformino, in attesa della decisione della Corte europea. Per me, il rinvio a Lussemburgo è stato improprio. Credo che la Corte non si farà tirare in questo gioco, non è suo compito dirimere conflitti d'attribuzione tra poteri dello Stato. Semmai, era più giusto il rinvio alla nostra Corte costituzionale. Il caso di chi ha disapplicato semplicemente la norma è invece sospetto».
Per Celotto ogni giudice chiamato a pronunciarsi sulla questione Albania a questo
punto sa una cosa: «La responsabilità per violazione del diritto italiano è difficile da dimostrare, mentre in questo caso c'è un vincolo europeo ed è quasi automatico che si debba rispondere individualmente dell'infrazione».