Il re preso di mira dal lancio di pezzi di fango. La regina che piange. Il presidente della Generalitat ricoperto di insulti. Il primo ministro colpito da un bastone. La visita delle istituzioni nei luoghi dell’apocalisse ha rallentato i lavori dei soccorritori partiti con inspiegabile ritardo. E non poteva andare peggio con una contestazione popolare al sovrano di Spagna che non ha precedenti. Nella regione di Valencia ci sono state diverse catastrofi: una è naturale e martedì scorso ha provocato inondazioni, morti e distruzione; un’altra è la gestione dell’emergenza del presidente della Generalitat, Carlos Mazón, che ha sottovalutato quanto stava succedendo, non ha diffuso per tempo l’allarme e martedì scorso, poco prima dell’apocalisse, ha perfino tenuto una conferenza stampa assicurando che tutto si sarebbe concluso alle 18. Un altro disastro, perfino più grave, è l’assenza di aiuti alla popolazione: l’esercito e lo spiegamento di forze di polizia e di vigili del fuoco c’è stato solo nel fine settimana. «Ci avete lasciato quattro giorni senza aiuti», gridava ieri la gente a Paiporta, durante la contestazione popolare al re Felipe, al presidente Mazón e al primo ministro Pedro Sánchez.
L’ultima catastrofe, da non sottovalutare perché è in pericolo la tenuta del tessuto sociale del Paese, è lo scollamento evidente tra la popolazione e i vari livelli istituzionali: non si era mai visto un re colpito dal lancio di pietre e fango, con il servizio di sicurezza costretto ad aprire, poco dignitosamente, degli ombrelli per proteggerlo. L’antipolitica e la sfiducia stanno trovando benzina dall’inefficienza delle istituzioni dopo la Dana di Valencia: dove porterà tutto questo non è prevedibile. La decisione della casa reale di andare a Valencia è stata sciagurata: malgrado il governo la avesse sconsigliata, ieri ha voluto visitare le zone del disastro, partendo proprio da Paiporta, il paese con il numero più alto di vittime. Quando i cittadini, nelle ore precedenti, hanno visto decine di macchine della polizia e interventi per sistemare il percorso del re, dopo che erano stati costretti a spalare il fango da soli, si è innescata una furiosa reazione. Hanno urlato «Fuera, fuera» o «Asesinos», hanno spintonato il corteo, hanno preso il fango da terra e l’hanno scagliato contro i reali, ma anche contro il presidente e il primo ministro.
SPINTE
C’erano infiltrati? Sì. La Guardia civil ha bloccato alcuni giovani con il viso coperto dai passamontagna tra cui un attivista dell’associazione neonazista Revuelta. Un ragazzo ha attaccato con un bastone il primo ministro Pedro Sánchez, portato via dai servizi di sicurezza. L’aggressore è stato fermato ed è emerso che è un giovanissimo estremista di destra che non c’entra nulla con Paiporta. Anzi, Adrian Campos di Revuelta, ha proprio rivendicato su internet l’attacco. Non solo: c’erano esponenti del sottobosco di ultradestra addirittura concorrenziale rispetto a Vox, che hanno sfruttato la rabbia per accendere la contestazione. Sánchez: «Voglio esprimere tutta la solidarietà e il riconoscimento dell'angoscia e della sofferenza patite dalle popolazioni alluvionate, ma condanno ogni tipo di violenza». Alcuni hanno distrutto i vetri della sua automobile. Sia chiaro: il cuore della reazione rabbiosa era sincero, la maggioranza era formata da cittadini che hanno perso tutto e non stanno ricevendo un sostegno sufficiente, che hanno visto inviare militari e forze dell’ordine molto in ritardo, perché lo scontro istituzionale tra Valencia e Madrid, tra Comunidad autonoma e Governo, aveva paralizzato una risposta degna di un paese europeo. Re Felipe: «Bisogna capire la frustrazione delle persone». In serata ha pubblicato un messaggio: alle persone alluvionate «si dia speranza e si garantisca che lo Stato in tutta la sua pienezza sia presente».
Nei video della contestazione si vede anche la regina Letizia in lacrime. Viene affrontata da una donna: «A te non manca nulla, noi non abbiamo nulla. Porta una pala e vieni a scavare». Altri rincuorano la regina: «Non ce l’abbiamo con te». Alcune signore l’abbracciano. Resta l’immagine goffa del re, giaccone marrone che sembra un abbigliamento casual preparato per l’occasione, che prova ad avanzare, a parlare con la gente, e viene protetto dagli ombrelli perché piovono pezzi di fango. Dice: «Alla fine supereremo tutto». Ma c’è chi gli risponde: «Un Paese come la Spagna dovrebbe essere preparato. Di feste non ce ne mancano, però di servizi di urgenza non ne abbiamo». Poi ci sono le urla contro il primo ministro: «Sánchez dove sei?». E l’indignazione nei confronti di Mazón: «Dimissioni, dimissioni». «Siamo rimasti fermi per ora a causa tua» ha gridato un residente di Paiporta al re: una visita ufficiale, in una zona in cui c’è solo da lavorare per rimuovere le macerie e verificare che non ci siano altri cadaveri, è solo un ostacolo. Il sindacato di Vox ha offerto assistenza legale a chi ha distrutto l’auto di Sánchez, mentre il partito di sinistra valenciano, Compromís, attacca: «La visita del re, del primo ministro e del presidente della Generalitat, data la gestione negligente della tragedia, è stata una provocazione». Dopo Paiporta, il re sarebbe dovuto andare a Chiva, ma ha rinunciato. Mazón ci è andato e anche lì è stato accolto dagli insulti.