Putin, l'asse con Hezbollah e il nuovo ruolo di Mosca nella pace tra Israele e Libano (che non piace agli Usa)

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Più aumentano le incursioni delle forze armate israeliane in Libano e più l’Idf si trova di fronte a qualcosa che non aveva previsto. O meglio, che non aveva previsto in questa misura. E cioè il volume di armi di fabbricazione russa in mano ai miliziani di Hezbollah.

Le fonti del Wall Street Journal, in questi giorni, hanno dato un’indicazione precisa di ciò che sta accadendo nel sud del Paese dei cedri, dove infuriano gli scontri tra Tsahal e miliziani e dove gran parte della popolazione ha abbandonato villaggi spesso rasi al suolo. Quello che sta scoprendo l’esercito israeliano è che le armi russe del Partito di Dio non sono solo molte di più di quelle che si pensava avessero nei loro arsenali, ma sono anche molto più sofisticate. Una su tutte, il missile anticarro Kornet. E così, dopo 18 anni dall’operazione del 2006, l’Idf si è resa conto sul campo di battaglia che in questi anni Hezbollah ha notevolmente aumentato le sue capacità anche grazie a questo aggiornamento del proprio arsenale russo. Passato da apparecchiature spesso addirittura di era sovietica ad armi nuove e molto spesso anche tecnologicamente all’avanguardia.

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Il rapporto tra Mosca e il Partito di Dio

La questione è presa molto seriamente da Israele, ma anche dagli Stati Uniti. E non è un caso che nelle ultime settimane, forse anche per lanciare avvertimenti diplomatici più che per reali intenzioni politiche, si è parlato della Russia come di un possibile supervisore dell’eventuale accordo di pace tra Stato ebraico e Libano (ed Hezbollah). Gli analisti, infatti, sono consapevoli che il rapporto tra Mosca e il Partito di Dio, nel corso degli anni, è si è andato consolidando fino a diventare una sorta di alleanza oscura. Una relazione che non è solo uno dei tanti elementi che uniscono Russia e Iran (regista e dominus della milizia), ma che ha anche una sua autonomia strategica, e che h avuto uno sviluppo fondamentale soprattutto con la guerra in Siria.

L’intervento russo a difesa di Bashar al Assad ha cambiato le carte in tavola. Come ricorda il Middle East Institute, nel 2015, il viceministro degli Esteri russo Mikhail Bogdanov respinse la designazione di Hezbollah come organizzazione terroristica. L’anno dopo, nel 2016, il coordinamento tra aviazione di Mosca e combattenti di Hezbollah fu decisivo nella vittoria finale di Assad ad Aleppo. Funzionari del Partito di Dio si sono recati in Russia per discutere anche di affari economici e finanziari. E tra il movimento sciita e alcune aziende russe si è parlato anche di progetti infrastrutturali nel sud del Libano, a partire dalle raffinerie. Un tema essenziale per un Paese continuamente a corto di energia e con il petrolio che diventa inevitabilmente fondamentale anche per l’altro attore della scacchiera libanese, Teheran, visto che l’Iran è sottoposto a sanzioni proprio sull’export di greggio.

L'asse rinato dopo l'inizio della guerra di Israele contro Hamas ed Hebzollah

Il tema dell’asse tra Mosca e il movimento oggi guidato da Naim Qassem è risorto soprattutto dopo l’inizio della guerra di Israele contro Hamas ed Hezbollah, ancora prima dell’inizio dell’invasione del sud del Libano. Sempre il Wall Street Journal, a novembre del 2023, aveva avvertito tramite fonti dei servizi Usa di un piano dell’ex Gruppo Wagner di rifornire i combattenti sciiti con sistemi di difesa aerea Sa-22 (il Pantsir). Washington ha sempre guardato con molta attenzione ai legami che avevano costruito i mercenari della Wagner i miliziani di Hezbollah durante la guerra in Siria, quando Putin ha usato i contractors come un’armata nascosta per non mandare le truppe regolari russe. E dal momento che gli ex Wagner sono rimasti in Siria così come le armi fornite a Damasco contro i ribelli, il corridoio che unisce gli arsenali di Assad con quelli di Hezbollah, grazie anche alla presenza dei Pasdaran iraniani, ha sicuramente avuto un ruolo nel passaggio di armi. Inoltre, un ex membro di alto profilo di Hezbollah, Abbas Jawhari, ha anche rivelato che il movimento era in trattative con alcuni apparati russi per ricevere la fornitura di missili in grado di colpire i giacimenti di gas off-shore di Israele. E come hanno confermato alcuni rapporti dal Libano, il Partito di Dio avrebbe già ottenuto alcune armi antinave. Una in particolare, il missile Yakhont, di fabbricazione russa, noto anche come P-800 Oniks, e capace di colpire un bersaglio fino a 300 chilometri. Una minaccia mai confermata da Hezbollah, ma che per alcune settimane ha rappresentato anche un punto interrogativo per la flotta statunitense nel Mediterraneo orientale.

Il peso di questa relazione, secondo molti osservatori, potrebbe anche non avere un impatto sensibile sul futuro della guerra. Perché è difficile credere che Mosca autorizzi un aumento delle forniture russe a Hezbollah anche attraverso il corridoio siriano. Tuttavia, non va dimenticato che in questi mesi si è parlato anche di contatti sempre più frequenti tra la Russia e l’altra grande milizia sciita del Medio Oriente, gli Houthi, con Mosca che non solo avrebbe fornito dati di intelligence per colpire meglio le navi, ma starebbe anche contrattando l’invio di armi. Ed è anche per questo che il governo di Benjamin Netanyahu, dopo mesi di gelo per il sostegno israeliano all’Ucraina e per i raid israeliano vicino le basi russe in Siria, in queste settimane ha aperto le porte a un nuovo rapporto di fiducia con il Cremlino. Un rapporto che, del resto, è sempre stato molto forte e che aveva superato indenne anche la grande sfida del conflitto siriano.

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Il ministro degli Esteri israeliano Gideon Saar ha recentemente sottolineato l’importanza che potrebbe avere il coinvolgimento della Russia nel rendere effettivo l’accordo di pace tra Israele e Libano. E data la forte partnership russa con l’Iran, la presa sulla Siria e la capacità di dare forza politica agli interessi di Hezbollah e di altri movimenti, è chiaro che Mosca possa avere un ruolo centrale. Un ruolo che però sicuramente non piace né alla Francia né tantomeno agli Stati Uniti, che non possono permettersi che Putin abbia un peso decisivo nel gioco di equilibri in Medio Oriente. Washington è sempre il maggiore alleato di Tel Aviv. E l’eventuale ingresso del Cremlino in una partita dove gli Usa sentono di avere la precedenza di certo non piacerebbe agli strateghi dell’attuale amministrazione Biden. Non è da escludere che nella prossima Casa Bianca a guida Donald Trump qualcuno possa anche guardare con un occhio positivo al coinvolgimento della Federazione russa. Una su tutti, Tulsi Gabbard, nominata al vertice della National Intelligence. Molti, in America, la considerano un pericolo, perché ritenuto fin troppo vicina alle posizioni di Putin. Ma non va dimenticato anche che nel 2017 Gabbard si recò in gran segreto a Damasco, provocando un notevole imbarazzo in quello che era allora il suo movimento: il Partito democratico. E in caso di riapertura del dialogo tra Mosca e Washington sotto la presidenza Trump, il Libano e i rapporti con Israele potrebbero essere l’altr banco di prova insieme all’Ucraina.

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