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Fischietti “evasori”. Come rivelato dal quotidiano La Repubblica, decine di direttori di gara e assistenti, a partire dal designatore Gianluca Rocchi e Daniele Orsato in giù, hanno incassato e non dichiarato i rimborsi Uefa. Dopo essere stati beccati dal Fisco a seguito di un esposto alla Finanza, sono stati tutti costretti a ricorrere al cosiddetto ravvedimento operoso per sanare la propria posizione. L’ennesima figuraccia per il calcio italiano e la sua disastrata classe arbitrale, dopo lo scandalo “Rimborsopoli” di neanche troppi anni fa.
La vicenda risale al periodo 2018-2022 e riguarda gli emolumenti per le partite internazionali, ad esempio le competizioni Uefa (Champions, Europa, Conference League, nazionali, ecc.), su cui sono inciampati tanti fischietti italiani. Soldi percepiti all’estero, a volte proprio su conti esteri, e su cui non sono state pagate le tasse, comunque sotto la soglia dei 100mila euro, altrimenti sarebbe scattato il reato penale. Un problema così di massa (numeri precisi non ce ne sono, si parla di una cinquantina di soggetti coinvolti) testimonia il fatto che probabilmente si è trattato di un fraintendimento collettivo di una norma poco chiara, come sostiene la difesa. Ma rimane il dubbio anche di un’interpretazione di comodo e un po’ furbesca: in Italia i gettoni Aia sono tassati alla fonte (proprio perché si tratta di rimborsi e non di un vero e proprio compenso, dato che gli arbitri fino ad oggi non sono mai stati inquadrati come lavoratori). Tutti hanno pensato che lo stesso valesse all’estero, nessuno si è preoccupato di verificare, dando per scontata la versione più conveniente. Né tantomeno l’Aia ha fornito un parere chiaro e univoco ai suoi assistiti.
Si tratta di una storia spiacevole, che però pone un tema che va ben al di là della semplice questione reputazionale. Può un arbitro, colui che nello sport dovrebbe rappresentare la terzietà e la giustizia, avere un comportamento se non proprio disonesto, comunque disdicevole, nella propria sfera privata, che tra l’altro in questo caso coinvolge anche quella sportiva visto che parliamo dei compensi percepiti nell’esercizio della professione. Non è solo una domanda retorica e la risposta, abbastanza chiara, è contenuta nel codice etico dell’Aia: “Il comportamento dell’Associato deve essere espressione di legalità ed apparire come tale, deve riscuotere la fiducia e l’affidamento attraverso comportamenti improntati alla dignità della funzione, alla correttezza ed alla lealtà. I comportamenti oltre a riferirsi al senso di giustizia, devono essere ispirati alla virtù del ben operare”. Le norme deontologiche dell’Associazione sono giustamente molto severe nel censurare ogni tipo di comportamento non in linea con la carica arbitrale. E certo un’evasione fiscale, ammesso e non concesso sia avvenuta in buona fede, non lo è.
Questa è materia per la giustizia sportiva. La Procura federale (visto che dopo il caso D’Onofrio non esiste più una giustizia domestica degli arbitri: la Figc con la solita invasione di campo ha avocato tutto a sé), sempre così solerte a fare la voce grossa con i più deboli, avrà la forza e il coraggio di aprire un fascicolo sulla vicenda? Dovrebbe essere scontato ma significherebbe mettere sotto inchiesta una buona fetta di classe arbitrale, a partire dal designatore Gianluca Rocchi, fedelissimo del presidente Gravina, chiamando in causa quindi la stessa Figc. Immaginatevi la Serie A arbitrata da fischietti e dal loro n.1 a rischio deferimento: credibilità completamente azzerata. Ma anche facendo finta di nulla il risultato non sarebbe diverso. C’è poi un altro aspetto da non sottovalutare. Considerando che l’accertamento è stato generato da un esposto, presentato evidentemente da chi conosceva bene le dinamiche interne, lo scandalo assomiglia tanto anche all’ennesimo regolamento di conti. A meno di un mese da un’elezione molto incerta, con due candidati di due fazioni opposte e l’Aia spaccata a metà. Intanto la classe arbitrale italiana affonda.