Giustizia & Impunità
“Non è esagerato affermare che si tratta di soggetti che rappresentano un pericolo per la democrazia di questo Paese”. Così il pm di Milano Francesco De Tommasi, nella richiesta di misure cautelari depositata lo scorso luglio, definisce la “banda di via Pattari“, il gruppo di hacker e appartenenti (attuali o passati) alle forze dell’ordine che secondo l’accusa ha spiato centinaia di persone attraverso accessi illeciti alle banche dati dello Stato. “Si tratta di soggetti pericolosissimi perché, attraverso le attività di dossieraggio abusivo dagli stessi svolte, con la creazione di vere e proprie banche dati parallele vietate e con la circolazione indiscriminata di notizie informazioni sensibili, riservate e segrete, sono in grado di “tenere in pugno” cittadini e istituzioni nonché di condizionare in modo pregiudizievole dinamiche imprenditoriali e procedure pubbliche, anche giudiziarie”, scrive il magistrato. Sottolineando, nel chiedere la custodia cautelare in carcere per 13 indagati – negata dal gip Fabrizio Filice, che ha disposto solo quattro arresti domiciliari – come l’organizzazione godesse “di appoggi di alto livello in vari ambienti, anche quello della criminalità mafiosa e quello dei servizi segreti, pure stranieri”. Nonché di una rete criminale “assai vasta e strutturata a grappolo, nel senso che ogni componente del sodalizio e ogni collaboratore esterno dello stesso hanno a loro volta ulteriori contatti, nelle forze dell’ordine e nelle altre pubbliche amministrazioni, attraverso cui reperire illecitamente dati e informazioni riservate e sensibili”.
Nella richiesta si fa riferimento anche a un’intercettazione ambientale “inquietante per i possibili scenari che apre”, in cui due dei presunti capi dell’associazione a delinquere, l’ex poliziotto antimafia Carmine Gallo e il consulente informatico Nunzio Calamucci, “lasciano intendere di aver intercettato un indirizzo email assegnato alla massima carica dello Stato, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, o comunque di essere riusciti a utilizzare abusivamente o a clonare il predetto account”. “Gli faccio sì guarda che noi l’abbiamo spedita a venti persone, più tre mail, una mail intestata a Mattarella, con nome e cognome (…) che se vanno a vedere l’account è intestato al presidente della Repubblica”, dice Calamucci a Gallo. Dalle indagini inoltre è emerso come, per realizzare copie forensi illegali di dispositivi elettronici (uno dei “sevrizi” offerti ai propri clienti) il gruppo si rivolgesse alla stessa società che effettuava questo lavoro per la Procura e la Procura generale di Milano, la Tre14 srl. In particolare il riferimento è un certo “Checco”, che gli inquirenti non sono riusciti a identificare con precisione. Dice Calamucci a Gallo: “Checco quello che fa le cose per la Procura, che lui quando trova qualcosa me la manda… (…) … mi mandano tutto… tutti i documenti…”.