Corrado Ocone 12 dicembre 2024
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A più di due anni dal superamento dell’emergenza, il Covid continua a far notizia. Ed è un bene che sia così. In particolare, continuano a far discutere gli obblighi di vaccinazione imposti allora alla popolazione, spesso corredati da sanzioni pecuniarie e non. La decisione del governo di sospendere, con il Decreto Milleproroghe, una parte di queste multe ha riacceso il dibattito e riproposto quella frattura fra sinistra e destra che avevamo sperimentato ai tempi della pandemia. La sinistra aveva infatti avallato, in nome di una mal definita “salute pubblica”, politiche emergenziali di sorveglianza e controllo sui comportamenti individuali che la destra aveva cercato di mitigare o circoscrivere in modo più razionale ed efficace, nonché rispettoso dei diritti individuali. Nella difesa della sua posizione, la sinistra non aveva esitato a usare parole forti, apostrofando, come suo solito, come esseri immorali tutti coloro che ponevano dubbi o sollevavano interrogativi: essere additati come “no vax” o addirittura “negazionisti” spesso significava essere esclusi dal consesso civile.
Fra le accuse più frequenti che abbiamo ascoltato una particolarmente merita di essere approfondita anche perché chi se ne fa scudo crede di avere in mano la prova definitiva non solo dell’immoralità e malvagità dei propri avversari politici, ma anche della loro congenita ignoranza. Secondo costoro, in effetti, a imporre certe scelte sarebbe stata la Scienza, la quale per principio è dispensatrice di verità apodittiche e incontrovertibili. Ora, fa specie che a far propria questa posizione sia proprio la sinistra: fu nel campo intellettuale da lei dominato, infatti, che negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso si svolse un dibattito che smontò, con l’aiuto di molti autorevoli scienziati, l’idea di una “neutralità della scienza”.
Covid, vaccino e multe: cambia tutto, lo schiaffo al governo del lockdown
Il problema è non nella scienza, cioè nelle formulazioni scientifiche, ma negli scienziati, cioè coloro che parlano in nome della scienza. Come tutti gli esseri umani, anche gli scienziati sono infatti sensibili alle dinamiche di potere, oppure soggiacciono a meccanismi di clan che hanno i propri imperativi ideologici, o semplicemente seguono per conformismo lo spirito dei tempi. Il che non avviene necessariamente per disonestà: a volte certi pregiudizi lavorano in modo incosciente, subliminale. C’è tutta una letteratura, ad esempio, che mette in evidenza le difficoltà che si hanno nel pubblicare sulle migliori riviste scientifiche articoli difformi alla vulgata dominante: le tesi non gradite subiscono una vera e propria “censura” anche se comprovate da fatti e dati.
Quel che va poi sottolineato è che, nelle decisioni pubbliche, non ci si può prostrare ai dettami degli scienziati anche per un altro motivo: ogni disciplina ha uno sguardo unilaterale sul mondo, mentre la politica deve avere una visione necessariamente olistica, che faccia cioè la sintesi di interessi e valori in campo, con particolare attenzione alle conseguenze di ogni decisione. Che gli scienziati abbiano una visione parziale del mondo è dovuto al predominio, nei loro ranghi, di una visione “riduzionistica”: come scrive uno dei maggiori filosofi italiani, Carlo Sini, c’è un desolante divario «tra il valore indiscutibile, grandioso, decisivo, delle ricerche della scienza moderna e l’assoluta inconsistenza, irrazionalità, superstiziosa fallacia, di ciò che alcuni scienziati pensano e dicono che la scienza faccia e che la scienza sia». Il discorso, come si vede, porta molto lontano. Quel che però è qui interessante è capire il motivo della conversione scientista della sinistra, non solo italiana. A me pare è indubbio che esso sia da cercarsi nella mai dismessa volontà di plasmare e correggere il mondo dall’alto, per mezzo di scelte pubbliche, in modo dirigistico. Ne consegue quasi naturalmente la diffidenza della sinistra per la libertà e responsabilità individuale.