E se il “mostro di Firenze” non fosse Pietro Pacciani? E se fosse qualcuno neanche sfiorato dalle indagini? Questa è la domanda che sta lentamente avanzando grazie alle ultime inchieste, e a cui è complicato ma non impossibile rispondere, a quasi 40 anni dall’ultimo degli otto duplici omicidi compiuti dal più truce dei serial killer italiani.
Una nuova pista è stata analizzata nel corso dell’ultima puntata del programma d’inchiesta “Far West” condotto da Salvo Sottile. In particolare, c’è attenzione verso un sospettato del Mugello fino ad oggi poco approfondito dagli inquirenti per rintracciare colui che seminò il terrore nelle campagne fiorentine tra la fine degli anni ’60 e la metà degli ’80, ai danni delle giovani coppie di fidanzati, tutti trucidati mentre erano in intimità. In molti ricordano il clima di terrore in quegli anni, a Firenze e dintorni dove non si usciva più la sera per la paura. Fu sdoganata persino la possibilità per le giovani coppie di incontrarsi in casa dei genitori.
Pacciani e i compagni di merende
L’ex consulente di parte e ricercatore Paolo Cochi che ha condotto le indagini insieme al suo team abbia trovato nuovi elementi di interesse su un vecchio rapporto del 1984 riguardo a un sospettato di Borgo San Lorenzo. Cochi ha riferito di questo sospettato alla magistrata Giunti che adesso segue il caso ad oggi irrisolto, nonostante le condanne negli anni ’90 verso Pietro Pacciani (poi assolto e morto prima di quella definitiva) e dei cosiddetti “compagni di merende” che però non furono condannati per tutti gli omicidi, lasciando molti dubbi aperti. Pietro Pacciani, il mostro di Firenze, è morto prima che si potesse arrivare alla sentenza definitiva che c’è stata invece per i compagni di merende Mario Vanni e Giancarlo Lotti. I processi ci restituiscono una realtà giudiziaria più complessa di quella a cui si è arrivati negli anni ‘90 che lascia impuniti e irrisolti alcuni dei crimini. E seppure Pacciani fosse innocente, resta comunque colpevole di aver ucciso uno “spasimante” della sua fidanzata e di aver stuprato lei (sulla scena del crimine) e in seguito anche le sue stesse figlie. Ciò che continua a sollevare dubbi sulla figura del contadino toscano onon è la sua incapacità di compiere dei crimini efferati ma di mettere in atto una saga di delitti perfetti e di restare impunito, e questo vale anche per i cosiddetti suoi compagni di merende. Nessuno di loro pare avesse i mezzi intellettivi per farlo.
La macchina da scrivere
Tra i nuovi elementi emersi ci sarebbe una macchina da scrivere ritrovata in una vecchia soffitta e acquistata dallo stesso Paolo Cochi dal figlio del sospettato che aveva messo un annuncio su Internet. La macchina, secondo la grafologa forense Clarissa Metrella, è compatibile con le lettere di minaccia arrivate nel 1985 ai magistrati Vigna, Canessa e Fleury, che si ritenne furono scritte dal Mostro di Firenze. La compatibilità è dettata da segni di usura sulla macchina che spiegherebbero alcune anomalie grafiche delle lettere fotocopiate. Tuttavia, per fugare ogni dubbio bisognerebbe accedere agli originali e sottoporli a un test del Dna per ritrovare eventuali tracce sul retro delle buste, dove sono state incollate. La relazione di Cochi è stata consegnata in procura per cui si aspetta adesso una comparazione ufficiale del Dna, con quello delle vittime del Mostro. Perché di certo c’è del Dna, in base a quanto emerso dalle indagini, sulle lettere inviate ai magistrati, sigillate tutte dalla stessa persona: non è nessuno dei vecchi sospettati con cui non c’è stata mai corrispondenza di DNA.
Il rosso del Mugello
Nel servizio di “Far West” il giornalista Carmine Gazzani ha messo in fila gli indizi che disegnano un quadro mai preso in considerazione in passato da chi ha condotto le indagini sul Mostro di Firenze. Ne emerge un nuovo sospettato mai indagato, il “rosso del Mugello”, un cacciatore con precedenti penali. Viveva a Borgo San Lorenzo nel cuore del Mugello, nella frazione Le fontanine ovvero la stessa in cui fu compiuto il delitto del 14 settembre del ‘74 ai danni di Stefania Pettini e Pasquale Gentilcore: la seconda coppia trucidata dal mostro, lungo una strada sterrata mentre erano appartati nella loro 127. Lui fu ucciso con cinque colpi di pistola ma su di lei il Mostro si accanì con profonda furia. La Pettini è stata l’unica vittima ad aver lottato col mostro e nella colluttazione il contatto potrebbe aver causato un deposito di Dna. Il suo corpo potrebbe ancora parlare e i familiari stanno lottando per una riesumazione della salma.
Il DNA
Ma c’è altro Dna da cui ripartire ed è quello appartenente a un profilo ignoto ritrovato sui pantaloni di Jean Micheal, il ragazzo francese che insieme alla sua Nadine è stato l’ultima vittima del Mostro. Se quel Dna com’è stato appurato non è dei vari sospettati a chi appartiene? Il Dna del rosso del Mugello non è mai stato comparato. Ma la pista del rosso del fu già indicata da un rapporto dei carabinieri del 1984, sul penultimo dei duplici omicidi del Mostro. Nel verbale compare un sospettato che nel febbraio del 1965 fu accusato del furto di quattro pistole e una di questa non fu mai ritrovata. Il furto avvenne in un’armeria di Borgo San Lorenzo, dove viveva il rosso del Mugello, e l’arma era una Beretta calibro 22, la stessa arma del Mostro di Firenze com’è ben noto. Perché allora non è mai entrato nelle indagini?
Testimonianza esclusiva
Dopo 40 anni sbuca una testimonianza esclusiva. Lei si chiama Beatrice Niccolai: “Ho preferito mantenere l’anonimato ma dopo 40 anni posso metterci la faccia. Nel 1985, avevo 17 anni quando incontrai una persona che non mi ha fatto dormire per molto tempo”. L’episodio raccontato da Beatrice risale a pochi giorni dopo l’ultimo omicidio del Mostro ai danni della coppia di turisti francesi, Jean Micheal e Nadine, assaltati in una piazzola all’interno della loro tenda da campeggio. Racconta Beatrice a Far West: “C’era sciopero mezzi, feci l’autostop e fui raccolta subito da un’auto con uomo di mezza età a bordo. Mi chiese subito se avessi un fidanzato e nel caso, dove ci appartavamo, dove andassero le coppiette, che abitudini c’erano nel Mugello. Mi chiese anche se funzionava la campagna “Occhio ragazzi”, per cui vennero distribuiti dei volantini in cui le autorità davano indicazioni su cosa fare. Furono domande imbarazzanti, speravo solo che il viaggio finisse presto. Mi chiese anche se sapevo delle indagini del mostro e se sapessi del feticcio inviato al magistrato Silvia della Monica”.
Nella lettera anonima inviata alla magistrata c’era un lembo di pelle umano, estratto dal seno dell’ultima vittima del mostro, Nadine. “Il lunedì tornai a scuola, portavamo sempre in classe i giornali e lessi quindi del feticcio. Mi sentì gelare ma perché lo sapevo già dal giovedì prima del feticcio. Prima che fosse scritto sui giornali. Denunciai tutto ma iniziarono ad arrivavano telefonate inquietanti di notte, non era mai successo prima”, aggiunge la Niccolai. Alla domanda del giornalista Carmine Gazzanni che mostrando una foto dell’identikit del Mostro alla donna le ha chiesto se lo riconoscesse, lei senza esitare per un attimo ha risposto: “Si, è lui. Aveva una corporatura robusta e i capelli rossicci e radi”, ha aggiunto. A questa testimonianza se ne aggiungono altre due (non inedite) tra cui quella di una collega di una delle vittime del serial killer, Pia Gilda Rontini. Lei si chiama Emanuela Abbazzi e lavorava con Pia in un bar di Vicchio. “C’era un uomo che mi scocciava sempre. Era alto, robusto, rosso e stempiato. Mi tampinava sempre, infastidiva tutte”.
I precedenti del rosso e le conoscenze in procura
Come è possibile che il rosso del Mugello non sia stato mai sfiorato dalle indagini? “Può darsi avesse un amico poliziotto o magistrato”, hanno ipotizzato gli ospiti in studio. Non era neanche nella lista dei sospettati. Forse aveva una frequentazione con un importante magistrato di allora, sospetto e colpevole dell’atteggiamento di arroccamento della magistratura fiorentina, all’epoca delle indagini. Il rosso del Mugello intanto fu denunciato, in giovane età, di violenza sessuale da una 17enne con cui avrebbe dovuto sposarsi. Nel verbale di denuncia si legge che lei rifiutò rapporti sessuali “contro natura” e che per questo fu picchiata e abbandonata. E proprio in questo verbale si legge ancora che lui le disse che “nessuna denuncia lo avrebbe scalfito per le forti conoscenze in Procura”. Gazzani ha intanto rintracciato l’ex compagna del rosso che gli ha ammesso che lui lavorava in tribunale negli anni ‘80, come ha confermato anche il fratello del sospettato. Al giornalista il fratello del rosso ha detto che andava a caccia illegalmente senza porto d’armi e che per questo è stato condannato. “Se non era per Vigna, mio fratello ci stava di più in galera”, ha aggiunto. Il riferimento è a Pierluigi Vigna che durante la caccia al mostro è stato a capo della procura fiorentina, prima di diventare procuratore nazionale antimafia. “Se l’era fatto amico, lo mise a lavorare, aveva conoscenze sennò chi lo metteva lì”, dicono i familiari del rosso. Solo il figlio reagisce male ai tentativi di approccio del giornalista di “Far West” e prima ancora che lui possa fargli delle domande, chiama ai carabinieri ed è lui stesso a dire loro che si sente importunato per la storia del mostro di Firenze “e di un certo Vigna”, rispondendo in parte alle domande che nessuno gli ha fatto, e aprendo altri dubbi su suo padre, il rosso del Mugello.