Euforia al Nazareno, ma la vittoria è a scapito degli alleati. La tentazione: candidare un 5s in Campania, a rischio flop
Al Nazareno, dopo la pausa depressiva post Liguria, da lunedì hanno ricominciato a dividersi i potenziali ministeri.
Nel Pd regna l'euforia: ieri Elly Schlein, reduce coronata d'alloro da Emilia Romagna e Umbria, è stata accolta con applausi e flabelli alla riunione del gruppo dem alla Camera. Le dichiarazioni di omaggio trionfale dei suoi non si contano: «Siamo di nuovo il partito a vocazione maggioritaria», chiosa un dirigente.
Nel resto del centrosinistra ci si leccano le ferite (tutti hanno perso voti, cannibalizzati dal Pd) e si litiga, con Fratoianni di Avs che rilancia il veto su Italia viva, mentre Conte parla di qualsiasi cosa tranne che del suo miserrimo bottino elettorale. Ma Schlein non pare intenzionata a occuparsi delle baruffe chiozzotte della sua coalizione: sa che, al dunque, tutti dovranno rientrare in alleanza sotto la sua ala. Matteo Renzi dice quel che la segretaria dem pensa: «Il centrosinistra non è più a due punte, Pd e M5s. C'è il Pd, che è cresciuto molto, e ci sono i cespuglietti». Cespuglietti, neppure più cespugli: lunedì, tra Emilia e Umbria, stavano tutti sotto al 5%. Il che porta alla subordinata a favore di Elly: meno voti prendono gli alleati, meno ministeri sarà necessario cedergli, in caso di futura vittoria.
La formula «Pd più cespuglietti» non dispiace per nulla alla leader dem, anzi: a cannibalizzare gli altri partiti del centrosinistra, il Pd ingrassa. E la sua leadership pure. Elly, come la assai sexy Lucy del noiosissimo e patinato film di Bertolucci, «balla da sola». E pensa che, in tempi di populismo arrembante e di bulimia di «cambiamento», sarà il giusto allineamento di pianeti a far la differenza, prima ancora del perimetro della coalizione: se il centrodestra arrivasse al voto politico consumato dai conflitti interni e dal governo, e lei ci arrivasse cavalcando l'onda di vittorie parziali, Schlein potrebbe vincere indipendentemente da quanti voti prenderanno Renzi, Fratoianni o Conte. L'unica regione che il Pd rischia seriamente di perdere, nel 2025, è la Campania, dove si pagherà un prezzo alla rottamazione di Vincenzo De Luca e all'intenzione del centrodestra di calare un asso (si parla del ministro dell'Interno Piantedosi). E, guarda caso, è proprio la regione dove i 5S hanno un residuo potenziale elettorale e dove la perfida Schlein ha deciso di cedere la candidatura a un nome di Conte, probabilmente lo scolorito Roberto Fico. Così se si perde saranno fattacci di Conte, e se si vince sarà merito di Elly che ha avuto il coraggio di cambiare. E nel Pd si respira un'aria di ricambio generazionale: Schlein, nata contro il renzismo, è la miglior esecutrice della rottamazione renziana. Basta vedere come il neo-governatore emiliano De Pascale liquida, addebitandola alla vecchia guardia delle correnti romane incarnate da Andrea Orlando, la sconfitta ligure: «Ero stato facile profeta: i sindaci fanno 3 a zero. In Emilia, Umbria e Liguria». Bucci incluso, quindi. «Si vince con gli amministratori che conoscono il territorio», conferma l'europarlamentare (e futuro candidato in Puglia) Antonio De Caro. Verdetto confermato dagli analisti: Livio Gigliuto, del consorzio Opinio, spiega l'analisi dei flussi eseguita per la Rai: «Il Pd è riuscito a motivare i suoi al voto. E una sindaca ben radicata e moderata (si vedano le dichiarazioni critiche su aborto e Lgbt, che ammiccavano a destra, ndr.) in Umbria ha saputo attirare fino al 10% dei voti di Fi che erano andati prima a Tesei».
Resta un problema, per Gigliuto: «L'elettorato 5S si mobilita solo se il candidato è suo. E quando si allea col centrosinistra M5s prende sempre meno di quando non lo fa». Conte, di certo, non è allergico a ribaltoni e trasformismi: potrebbe un domani preferire Meloni a Schlein?