Scienza
di F. Q. | 21 Ottobre 2024
L’influenza aviaria è arrivata in California e lo scorso 18 ottobre i Cdc (Centers for Disease Control and Prevention) hanno chiarito che i casi umani ufficiali ormai sono 13, quasi la metà dei 27 casi riscontrati negli Usa (Texas, Colorado, Michigan, Missouri) a partire da aprile 2024. Tutti casi che hanno nel contatto con i bovini da latte o l’esposizione a pollame infetto da H5N1 l’origine dell’infezione. Tranne il quello del Missouri considerato il primo senza contatto con gli animali, anche se si è ancora in attesa dei test da diverse settimane. Come in precedenza anche le infezioni in California si sono verificati in lavoratori delle aziende lattiero-casearie nelle fattorie interessate. Persone, che poi come informa il bollettino, “hanno tutti descritto sintomi lievi, molti con arrossamento degli occhi o secrezione (congiuntivite)”. Nessuno dei lavoratori è stato ricoverato in ospedale.
Il caso Missouri – A differenza di quanto avvenuto invece con il paziente del Missouri ricoverato a settembre in ospedale. Il paziente, senza apparenti contatti con animali, avrebbe prima infettato un altro membro della famiglia e poi sei operatori sanitari che si sono presi cura di lui e che hanno tutti sviluppato sintomi respiratori. Nonostante siano passate diverse settimana la questione – di importanza fondamentale per capire se il virus ha acquisito una capacità di trasmettersi da uomo a uomo – ancora non ha una risposta.
“La fonte di esposizione in un caso, segnalato dal Missouri il 6 settembre, non è stata determinata- si legge nel bollettino –. Sono in corso i test sierologici dei contatti del caso del Missouri. Ad oggi, la trasmissione da uomo a uomo del virus dell’influenza aviaria A(H5) non è stata identificata negli Stati Uniti. Il Cdc ritiene che il rischio immediato per il pubblico generale dovuto all’influenza aviaria H5N1 rimanga basso, ma le persone esposte ad animali infetti sono a più alto rischio di infezione. Il monitoraggio non è facile, ma gli scienziati già a maggio aveva lanciato l’allarme sul rischio che il virus diventi endemico nei bovini e l’Oms successivamente aveva espresso enorme preoccupazione perché il contagio dei mammiferi da latte avvicina il virus all’uomo.
I dati e il sequenziamento – I semplici dati possono dare il quadro della diffusione del virus tra gli animali. La presenza del virus in bovini infetti è stato confermato in 320 mandrie da latte in 14 stati degli Usa e “il numero di mandrie colpite continua a crescere a livello nazionale, con quasi tutte le nuove infezioni identificate nelle mandrie in California -si legge sempre nel bollettino – Da aprile 2024, sono stati rilevati casi di H5N1 in 38 allevamenti di pollame commerciale e 26 allevamenti di pollame da cortile, per un totale di 21,43 milioni di volatili colpiti.
Al momento sono solo due i genomi completi dei virus di due casi rilevati in California e altri quattro sono stati parzialmente sequenziati. Gli esperti dei Cdc però rassicurano sul fatto che non ci sono stati “cambiamenti nell’emoagglutinina (HA) associati a una maggiore infettività o trasmissibilità tra le persone. Inoltre, non ci sono mutazioni associate a una ridotta suscettibilità ai trattamenti disponibili (ad esempio, inibitori della neuraminidasi o inibitori della polimerasi) e nessuna mutazione identificata in altri geni indica un ulteriore adattamento dei mammiferi”.
Nei giorni scorsi aveva destato preoccupazione per un focolaio nel Cremasco. Il ministero della Salute aveva rassicurato parlando di “sette focolai prevalentemente familiari”. “Laddove il virus circola molto tra gli animali, il rischio di casi umani c’è” aveva dichiarato Fabrizio Pregliasco, docente alla Statale di Milano. Esiste anche da noi e “dobbiamo organizzarci, dobbiamo reagire al negazionismo che si è diffuso rispetto a possibili rischi futuri che invece potrebbero trovarci impreparati”.
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