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Politica - 16 Novembre 2024
di Alessandro Mosca
Le elezioni presidenziali statunitensi sono state per mesi al centro dell’attenzione dei principali giornali e canali televisivi italiani. Questi ultimi (in sintonia con l’opinione pubblica a cui si rivolgono) hanno trattato le elezioni americane in modo particolare, a volte dando addirittura l’impressione che il 5 novembre si eleggesse il nostro presidente.
Questo fatto appare come l’espressione di una strutturale soggezione psicologica dell’Italia verso gli Stati Uniti. Una subordinazione che si vede innanzitutto in ambito giornalistico e televisivo, non solo dalla grande attenzione con cui vengono raccontati i fatti statunitensi come il problema delle armi o gli episodi di razzismo, ma anche dai numerosi articoli e documentari che sui media raccontano dettagliatamente la storia americana, parlandone quasi come se fosse la nostra storia. Essa si esprime anche nella convinzione diffusa che l’inglese sia una lingua superiore, dalla quale ha origine l’abitudine (accettata anche nelle scuole) di riempire i discorsi di inglesismi. Infine, essa si manifesta nei molti che vedono l’America come una stampella necessaria per camminare, il promotore della pace nel mondo a cui affidarsi, o nei giovani che mitizzano il suo stile di vita e le sue città.
Il problema è che la nostra subordinazione culturale è un sostegno determinante della nostra subordinazione geopolitica nei confronti degli Usa. L’opinione pubblica, troppo accondiscendente nei confronti degli americani, produce un modo di stare al mondo troppo incline a rispettare la loro volontà.
Non a caso, nel nostro paese sono stabilmente presenti numerose basi militari e più di 10000 soldati americani. Le forze armate italiane sono strutturate in modo da funzionare efficacemente soltanto insieme a quelle statunitensi, limitando così la nostra sovranità. E la politica estera italiana degli ultimi decenni è stata costantemente in linea con la volontà americana: durante le crisi di Jugoslavia, Libia, Ucraina, e Palestina, il nostro paese ha sostanzialmente seguito l’indirizzo statunitense senza interrogarsi seriamente sull’ipotesi di discostarvisi.
Il punto è che la subordinazione geopolitica nei confronti di un soggetto esterno è dannosa, perché la potenza egemone può in ogni momento costringere a fare o subire azioni sconvenienti da tutti i punti di vista, economico, politico, militare. Numerosissimi popoli nella storia hanno lottato per avere una maggiore libertà, perché la dipendenza rischia sempre di tradursi in miseria e disordine.
L’Italia non dovrebbe sviluppare una forma di odio verso gli Stati Uniti, che sono un paese pieno di virtù. E non dovrebbe nemmeno tentare subito di liberarsi completamente dall’influenza americana, perché sarebbe impossibile data la sua forza economica, demografica, e militare. In questo senso, non bisogna illudersi che la Russia e la Cina siano migliori dell’attuale superpotenza globale: queste ultime, dato il loro disinteresse per i diritti umani, probabilmente agirebbero in modo ancora più violento sul resto del mondo.
Però l’Italia potrebbe iniziare a vedere gli Stati Uniti non come un tutore affidabile, ma come una potenza con degli interessi a volte inevitabilmente divergenti da quelli europei. Potrebbe prepararsi a far valere il più possibile la propria volontà quando l’indirizzo americano non le conviene, cominciando allo stesso tempo uno sforzo generale, prudente, e non violento finalizzato a ridurre la dipendenza dagli Usa. Potrebbe iniziare a pensare che non c’è motivo di studiare dettagliatamente la storia statunitense, quando la propria è ancora troppo ignorata; e che non c’è ragione di imitare la lingua inglese, come una specie di provincia destinata a far parte dello Stato americano.
Infine, essa potrebbe alimentare tenacemente l’idea che è necessario rafforzare la fratellanza tra gli Stati europei (a partire dallo sviluppo di una difesa comune), perché un’Italia isolata sarà sempre più subordinata alle grandi potenze esterne.