Attivista presso il Centro antiviolenza Demetra
Diritti - 19 Novembre 2024
Ogni volta che si cerca di sminuire l’analisi femminista della violenza maschile contro le donne, viene spesa una parolina magica, “ideologia”, per confutare dati, elementi storici e sociologici, studi e ricerche. Secondo le misurazioni dell’Istat, il 31,5% delle donne è stata vittima di una qualche forma di violenza fisica o sessuale, e il 21% delle donne ha subito violenza sessuale. Il fenomeno è trasversale, ha matrice culturale e non conosce barriere sociali.
Eppure ieri, il ministro Giuseppe Valditara, durante la presentazione della Fondazione Cecchettin alla Camera dei Deputati, ha negato, durante un intervento videoregistrato, la componente culturale nel femminicidio ed ha tacciato questa analisi come frutto di un’ideologia.
“Il patriarcato – ha dichiarato il ministro Valditara – è stato abolito giuridicamente nel 1975 con la riforma del diritto di famiglia” eppure ogni giorno, tocchiamo con mano, che le leggi non sono formule magiche col potere di trasformare immediatamente una società. Il nuovo diritto di famiglia come l’abolizione nel 1981, del delitto d’onore o del matrimonio riparatore (quello che estingueva il reato di stupro in caso di matrimonio tra aggressore e vittima) non hanno affatto eliminato contenuti culturali millenari che ancora oggi mantengono vive aspettative sul ruolo delle donne nella società e nelle relazioni; le discriminazioni e i pregiudizi di stampo sessista purtroppo condizionano ancora la vita di milioni di donne e agevolano la manifestazione di violenze.
Come spiegare al ministro Valditara l’elemento culturale della violenza sessista se non con degli esempi? Quando Matteo Salvini, nel 2016, portò sul palco una bambola-sex toys presentandola come Laura Boldrini per divertire i suoi elettori, dileggiò la terza carica dello Stato riducendola ad una funzione sessuale. Lo fece perché Boldrini era una donna. In diverse occasioni, deputati, senatori, consiglieri regionali o sindaci hanno augurato stupri ad avversarie politiche. Ricordo al ministro Valditara che la violenza delle parole fa parte della violenza simbolica e quelli che cito sono fatti avvenuti in tempi recenti e non 50 anni fa, nell’Italia che precedette la riforma del diritto di famiglia.
Tra i candidati alle elezioni regionali umbre, recentemente concluse, c’era anche Stefano Bandecchi, sindaco di Terni, noto per atteggiamenti viriloidi e per aver recentemente ironizzato sulla scarsa intelligenza delle donne rispondendo ad una interlocutrice su Instagram “Che tristezza una donna che non capisce niente. Strano ma vero”. Poco più di un anno fa, sempre il sindaco di Terni, spiegò il femminicidio con queste parole: “Se non tradisci una donna, non sei normale e prima o poi l’ammazzi”. Il centrodestra, area politica di appartenenza del ministro Valditara, lo ha premiato candidandolo alle elezioni regionali.
L’indagine Istat condotta nel 2023 ha rilevato la persistenza di stereotipi sessisti nelle giovani generazioni, la Piramide dell’Odio che misura il linguaggio violento sui social, ci dice che le donne sono i bersagli principiali di sessismo e discorsi d’odio mentre la Corte Europea dei Diritti Umani ha condannato l’Italia, ben 7 volte, per aver negato protezione a donne vittime di violenza a causa di pregiudizi che persistono nella società italiana e persino nei tribunali.
Che la violenza contro le donne sia il prodotto di una cultura machista ancorata al patriarcato non è una invenzione del femminismo, tantomeno di Elena Cecchettin che un anno fa, denunciò la matrice culturale del femminicidio della sorella. Ed è un peccato che il ministro della Pubblica istruzione, in una sorta di mansplaining governativo, non abbia rispettato il punto di vista dei familiari di Giulia che hanno creato la fondazione per contrastare quella cultura.
Ma l’aspetto più discutibile dell’intervento del ministro, è stata la strumentalizzazione della violenza contro le donne in chiave antimmigrazione quando ha detto: “Deve essere chiaro, ad ogni nuovo venuto e a tutti coloro che vivono con noi, la portata della nostra Costituzione che non ammette discriminazioni fondate sul sesso. Occorre non far finta di non vedere che l’incremento dei fenomeni sessuali è legato anche a forme di marginalizzazione e devianza discendenti da una immigrazione illegale”. La cultura dello stupro come arma di prevaricazione delle donne non è arrivata in Italia sui barconi e speculare sulla violenza sessuale per portare acqua al mulino dell’allarme per l’immigrazione irregolare, peraltro in calo da anni, è l’ennesima offesa che si possa fare alle vittime di violenza.
La realtà va letta, appunto, senza ideologie o strumentalizzazioni politiche. Non ci sono dati sugli stupri commessi da “immigrati irregolari”. Ed è scorretto affermare che lo stupro sia in aumento o in diminuzione basandosi solo sulle denunce che svelano una minima parte del fenomeno. Persiste un sommerso che riguarda circa l’85% degli stupri. I Centri antiviolenza sanno che una donna denuncia con maggiore difficoltà un amico, un datore di lavoro o il partner. La stragrande maggioranza delle violenze sessuali, checché ne dica il ministro Valditara, avvengono in famiglia e non negli angoli bui delle strade.
E’ vero che il 27% delle violenze sessuali denunciate (dati del Ministero degli Interni del 2022) riguardano uomini stranieri che rappresentano una parte minoritaria della popolazione ma nel sommerso non denunciato ci sono mariti, amanti, datori di lavoro, e tanti , tanti “bravi ragazzi”.
Il MeToo svelò quanto fossero diffuse le violenze e le molestie sessuali. I processi per stupro hanno visto sul banco degli imputati anche calciatori e brillanti imprenditori e quando ciò è accaduto, le vittime hanno dovuto subire a livello sociale o sulla stampa, una feroce vittimizzazione. E può anche capitare che una condanna per abusi sessuali, nel civilissimo mondo occidentale, non arrechi alcun disturbo al cursus honorum di un miliardario che si candida a presidente. E’ accaduto negli Usa, con Donald Trump. Ci rifletta, ministro Valditara.
@nadiesdaa