Mafie
di Manuela Modica | 14 Novembre 2024
“Un giorno mi sono detto, un poco per superstizione: io non posso, sono stato fortunato fino ad ora, non posso più sfidare la mia fortuna. Allora la mia mafia…la trasformo in imprenditoriale”. È il 27 settembre del 2021, Toni Lo Manto – legato a Lorenzo Tinnirello, killer (condannato per le stragi del ’92) e uomo di fiducia dei fratelli Graviano – spiega la nuova strategia d’affari della “mia mafia”. Una riflessione che già faceva, senza sapere di essere intercettato, a gennaio del 2021: “Se io avessi continuato con determinate cose, avrei forse quindici anni, vent’anni, l’ergastolo, non si sa! Okay. E io…e questa è un’altra cosa, quindi questo io me lo sono preso come il mio lavoro”.
Niente più racket, il business più appetibile per la mafia è un intricato sistema di frode fiscale che prolifera nella zona grigia delle operazioni transnazionali. Un sistema che rimbalza fino addirittura a Dubai, Hong Kong e che è stato svelato oggi nell’indagine della Procura Europea che ha portato a 47 misure cautelari (tra gli arrestati in carcere c’è anche Lo Manto) e il coinvolgimento di 144 società, beni sequestrati per 520 milioni di euro fra cui complessi residenziali e immobiliari a Cefalù che da soli valgono 10 milioni di euro. Una procura molto temuta dagli indagati: “È cambiato tutto in Europa con la Procura Europea, non si scherza… a parte che anche prima erano già diventati pesanti comunque in generale… non scherzate più, cambiate il modo di lavorare, perché la Procura Europea è come l’Fbi, lavorano in team, cioè il tedesco passa al telefono con l’italiano, si sentono, parlano, si scambiano informazioni, anche tipo Fbi”.
L’indagine che ha scoperchiato l’interesse delle mafie per le frodi, nasce dall’inchiesta della Guardia di finanza di Varese e Milano e da quella della Squadra Mobile di Palermo con gli uffici della Procura Europea di Palermo e Milano, coordinata dai pm Gery Ferrara, Amelia Luise, Giordano Ernesto Baggio. Gaetano Ruta, Sergio Spadaro. L’operazione ha permesso di risalire ad un’evasione dell’Iva per centinaia di milioni di euro che si basava sulle cosiddette frodi carosello, nella quale avrebbero preso parte, dunque, esponenti della criminalità organizzata gestori di alcune delle filiere di società utilizzate nei circuiti, già finiti sotto inchiesta a Milano, e incaricati, anche, del rinvestimento del denaro sporco.
Oltre allo stretto rapporto con Tinnirello, Toni Lo Manto vantava anche – come descritto nell’ordinanza – un “costante ed assiduo contatto” con Francesco (Ciccio) Guttadauro il nipote prediletto di Matteo Messina Denaro. E anche con Girolamo Bellomo, marito di Lorenza Guttadauro, nipote e avvocata del boss di Castelvetrano. Tutti accomunati “dall’obiettivo condiviso di avviare un’attività imprenditoriale a Bucarest (Romania) dove Lo Manto aveva già individuato, per conto di Guttadauro, un contatto utile nel titolare di una società più volte menzionata come tender“. La necessità di Lo Manto era quella di trasferire fuori dalla Sicilia i propri affari di evitare la grande visibilità che avevano i parenti di Messina Denaro, non a caso già il 15 dicembre 2011 in occasione del viaggio da lui compiuto con Girolamo Bellomo sulla tratta Palermo-Milano Malpensa gli investigatori intercettavano questa conversazione di Lo Manto: “Allora… se questa cosa va in porto…poi noi ci sistemiamo la nostra vita per come dobbiamo essere intelligenti in una cosa…perché purtroppo… purtroppo noi siamo delle persone troppo a vista. E purtroppo facciamo un “piritu”…lo sentono tanti. facciamo una mossa lo vedono tanti! Quindi dobbiamo essere proprio bravi… a farci i “fatticieddi” nostri, una volta che noi gli affari li facciamo fuori…noi basta che non li facciamo in Sicilia. Ed è importante che ci muoviamo sempre io e tu (…) Perché appena si comincia a muovere Ciccio…siamo tutti…tutti bersagliati a vista“.
Il nuovo metodo per accumulare denaro coinvolge una grandi quantità di persone e società : “Dalle indagini emerge l’esistenza di un collaudato e articolato sistema di evasione fiscale – scrive il gip di Milano Mattia Fiorentini – ruotante attorno all’omesso pagamento dell’iva da parte di simulati acquirenti intracomunitari (missing trader), i quali non versano l’imposta dovuta e cessano la propria operatività dopo brevissimo tempo dalla loro costituzione, così vanificando in nuce ogni tentativo di recuperare l’Iva da parte dell’Erario. In pratica, come efficacemente rappresentato nella puntuale ricostruzione operata dagli inquirenti, società venditrici (dette conduit) correnti in paesi Ue vendono beni (nel caso di specie, prodotti informatici e dispositivi elettronici) in regime di Iva esente a società interposte (denominate missing trader), sedenti in diversi Paesi comunitari, tra cui Spagna e Italia – prive di struttura, operatività e personale, nonché legalmente rappresentate da prestanome – il cui unico scopo è quello di rivendere a società broker, accollandosi l’Iva esposta in fattura”.
E non c’era solo la mafia: Salvatore Tamburrino, Vincenzo Perrillo, Cosimo Marullo ed Espedito Colonna erano i ganci con la famiglia camorrista Di Lauro. Erano loro a garantire “la reciproca correttezza nella gestione degli affari, il recupero delle somme di denaro derivanti da eventuali ammanchi di gestione”, e cercavano di “comporre i conflitti e le controversie, non solo di natura economica, eventualmente nate tra i diversi associati e tra costoro e soggetti esterni utilizzati nel circuito nazionale ed internazionale della frode all’Iva”. Alcuni degli indagati avevano scelto come soprannomi pescando dalla serie tv “La casa di carta”: Perrillo era detto Rio, mentre Marullo era chiamato Berlino.