Un doppio segnale. Ai «giudici politicizzati» accusati di calzare l’elmetto contro il governo. E alle toghe che invece lavorano a «una proficua collaborazione» nel rispetto dell’«autonomia delle differenti istituzioni». Mentre lo scontro con la magistratura si riaccende nei tribunali, Giorgia Meloni lancia un messaggio da Palazzo Chigi. È metà pomeriggio quando la presidente del Consiglio comunica di aver ricevuto qui Fabio Pinelli, vicepresidente del Csm. Un incontro di cui il Quirinale però è stato avvisato solo all’ultimo momento.
IL COLLE
L’uomo a capo dell’organo di autogoverno delle toghe, eletto in quota centrodestra, incontra il capo del governo: evento raro, a onor di memoria. Che desta sorpresa, se non irritazione al Colle per il tempismo, nel giorno in cui è ripartito il tiro alla fune di un pezzo dell’esecutivo contro le “toghe comuniste”, copyright Matteo Salvini. Dell’incontro il Capo dello Stato Sergio Mattarella sarebbe stato messo al corrente solo all’ultimo minuto da Pinelli, così riferiscono fonti vicine alla presidenza della Repubblica.
Dove si parla di una procedura «irrituale». Anche se dal governo spiegano: era un incontro istituzionale programmato, nessun blitz. Una nota di tre righe dà la linea, nelle ore in cui si incendia di nuovo la guerriglia fra centrodestra e giudici con al centro le norme sull’immigrazione e il trasferimento di migranti in Albania. «La visita si inserisce nell’ambito di una proficua e virtuosa collaborazione, nel rispetto dell’autonomia delle differenti istituzioni». Tradotto: siamo pronti a collaborare, con chi si tiene alla larga da invasioni di campo. E tali considera la premier i continui provvedimenti delle sezioni immigrazione dei tribunali contro le espulsioni previste dal patto fra Italia e Albania sulla detenzione extraterritoriale. Nonostante la corsa ai ripari del governo, il decreto sui “Paesi sicuri” che, in attesa che intervenga il Parlamento Ue, allinea alla normativa comunitaria il patto con Edi Rama.
Il rischio, concreto, è che i centri montati dal Genio militare in Albania e costati centinaia di milioni di euro alle casse dello Stato restino vuoti. Meloni spiega al suo interlocutore - eletto a capo del Csm un anno fa su spinta proprio del centrodestra - che il governo non intende scendere in guerra con la magistratura tout-court. E tuttavia la linea ai vertici prevede tolleranza-zero per i «giudici che fanno politica». Sono tanti, troppi, accusano dal centrodestra. Mentre le associazioni togate respingono al mittente e parlano di indebite pressioni del governo sull’ordinamento giudiziario.
Meloni è infuriata per l’ennesimo cartellino rosso dei giudici sul trattenimento dei migranti, issato ieri dai tribunali di Catania e Roma. Nel vis-a-vis tra con Pinelli c’è allora un segnale della presidente del Consiglio a quella parte della magistratura ritenuta meno ostile, o quantomeno non pregiudizialmente contraria alle mosse della maggioranza. Tra i colonnelli di Fratelli d’Italia c’è chi, in privato, fa nomi e cognomi. E punta il dito sull’ «ottima collaborazione» con un pezzo di magistratura, dall’Antimafia guidata da Giovanni Melillo, a cui il governo potrebbe affidare la regia delle indagini sul cyber-crimine dopo lo scandalo dei dossieraggi, a un procuratore di primo piano come Nicola Gratteri.
Con gli altri, «chi fa politica con la toga addosso», non c’è dialogo che tenga, è la linea. La premier tiene il punto. Ha deciso di dare un segnale anche ai suoi elettori con uno sprint sulla riforma della separazione delle carriere di giudici e pm osteggiata da buona parte della magistratura. Anche a costo di rallentare per un po’ il cammino del premierato.
LO SPRINT
La settimana scorsa, su suo input, il Guardasigilli Carlo Nordio ha chiamato a raccolta al ministero di via Arenula i sottosegretari e i responsabili del dossier in Parlamento. L’ordine è andare spediti, con un primo via libera entro dicembre.
Un pezzo di maggioranza, Forza Italia in testa, preme per riaprire il calderone della riforma, riappuntire gli angoli smussati a maggio dopo una lunga mediazione del Quirinale. Ad esempio reinserendo l’elezione dei membri laici del Csm in Parlamento. Nell’attuale testo è previsto il sorteggio, proprio come per i membri togati. Da FdI però è arrivato uno stop: pochi emendamenti, niente modifiche sostanziali che rallentano il cammino della legge. Ora la priorità è dare un segnale «contro le correnti». E farlo in fretta.