Dopo l’approvazione da parte del Senato messicano della riforma del potere giudiziario proposta da Amlo (Andrés Manuel López Obrador, l’ex presidente a cui è subentrata il 1° ottobre Claudia Sheinbaum), dal prossimo anno i magistrati del sistema federale saranno eletti per voto popolare, compresi i ministri che compongono la Corte Suprema. Una svolta epocale, ma con la prospettiva non certo rosea che la politica possa controllare il potere giudiziario.
I motivi di una svolta storica
Attualmente i giudici delle corti federali sono nominati dalla Corte Suprema sulla base di qualifiche, titoli di studio e anni di esperienza. I componenti della Corte vengono invece proposti dal presidente e approvati dal Senato per un mandato rinnovabile ogni 15 anni: la riforma di López Obrador riduce il numero da 11 a 9, accorciando il loro mandato da 15 a 12 anni. La riforma è un cambiamento epocale del sistema giudiziario messicano e va inserita nell’ambito di un progressivo deterioramento dei rapporti fra López Obrador e la magistratura, in particolare con la Corte suprema, che ha bloccato diverse proposte di Amlo. Sicuramente era da aspettarsi un ridimensionamento dei poteri e privilegi di cui godono i giudici (ministri) della Corte Suprema: la riforma colpisce in particolare la durata del mandato del presidente dell’organismo che si riduce a due anni non rinnovabili, con successione a rotazione, riduzione del tetto massimo del suo stipendio e soprattutto l’abolizione della pensione vitalizia per i ministri attuali e futuri.
D’altro canto però, le proteste hanno riempito le piazze fino ad invadere il Congresso Generale degli Stati Uniti Messicani interrompendo la votazione finale del Senato. Si paventa il rischio che i candidati che mostrano spiccate simpatie per Morena, il partito al governo, partano avvantaggiati, al di là della loro preparazione e professionalità. Se ciò avvenisse, la politica prevarrebbe sulla trasparenza giudiziaria, privilegiando coloro che hanno contatti e finanziamenti da membri influenti del partito, a scapito del merito. Soprattutto si teme che i cartelli criminali, che detengono una forza economica devastante, possano influire in questo processo di transizione, supportando la campagna elettorale dei candidati disposti a chiudere un occhio sui loro misfatti in cambio di soldi.
Proteste legittime e polemiche strumentali
Il nocciolo della questione è che un dibattito inevitabile su una riforma così importante si intreccia con polemiche strumentali a interessi di parte: l’ambasciata Usa ha contestato la riforma additandola come un rischio per la democrazia, minacciando velatamente ritorsioni sugli accordi commerciali tra i due paesi che nel 2026 dovrebbero essere rinnovati, mentre la sezione giuridica dell’Onu ha ribadito il proprio impegno nella tutela dell’indipendenza giudiziaria. In quale forma, non è dato saperlo.
E non poteva mancare l’intervento degli imprenditori, preoccupati a loro dire del fatto che il governo possa mettere a rischio gli investimenti a lungo termine, con leggi varate ad hoc per nuocere al settore industriale. Cioè, leggendo tra le righe, ai loro interessi.
È sacrosanto combattere privilegi e corruzione che affliggono il settore giudiziario così come la politica e l’economia – secondo le Ong messicane si è persa un’occasione storica per riformare interamente un sistema che è percepito come marcio in tutti i suoi meccanismi – e soprattutto risarcire le vittime che subiscono da decenni i soprusi generati dagli intrecci tra criminalità e politica, con la copertura di quelle autorità giudiziarie deviate la cui eliminazione fa parte degli obiettivi da cui è scaturita la stessa riforma.
Conclusioni (per ora)
Difficile pronosticare se la riduzione da 11 a 9 giudici della Corte Suprema e di privilegi quali l’eliminazione dei vitalizi, così come il voto popolare, possano effettivamente combattere la corruzione e riavvicinare i tribunali al popolo. Anzi, forse proprio la perdita di quegli incentivi economici potrebbe aumentare le probabilità che un giudice possa vendersi a fronte di un’offerta allettante.
È l’ombra lunga del Sistema Messico, proiettata dalla complicità storica tra poteri politici e criminali che generano economie illegali sfruttando un territorio già spremuto fino alla scorza, l’ostacolo più arduo per Claudia Sheinbaum. E ogni sforzo sarà inutile, in assenza di un freno alle disuguaglianze sociali, terreno fertile per la criminalità in un quadro di povertà sempre più diffusa, laddove un sicario a Città del Messico si compra con 50-500mila pesos (dai 95 a 950 Usd massimo). Molto meno in provincia, claro.
Lo dimostra la sorte toccata a Alejandro Arcos Catalán, sindaco di Chilpancingo (200 mila abitanti) città dello stato di Guerrero, che dopo solo sei giorni dalla sua elezione è stato decapitato. I killer hanno lasciato la sua testa sul tetto di un’auto. Coincidenze infauste per la nuova presidente, il cui mandato è partito lo stesso giorno di quello del sindaco, 1° ottobre, mentre nel Chiapas sei migranti venivano massacrati da un commando militare.