Migranti, i giudici di Bologna rinviano alla Corte Ue il nuovo decreto sui Paesi sicuri: “Così sarebbe sicura anche la Germania nazista”

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Proveniente da Paese d’origine che l’Italia considera sicuro, un cittadino del Bangladesh si è visto respingere la domanda d’asilo con tanto di ordine di espulsione. Nel fare ricorso ha chiesto la sospensione del procedimento d’espulsione al Tribunale di Bologna. Ma i giudici hanno invece sospeso il loro giudizio, rinviando alla Corte di Giustizia dell’Unione europea (Cgue) il nuovo decreto legge del governo sui Paesi d’origine sicuri, emanato d’urgenza lo scorso 23 ottobre dopo che i magistrati di Roma avevano invalidato i primi 12 trattenimenti nei centri in Albania applicando proprio una decisione della Cgue, l’ormai nota sentenza del 4 ottobre. Secondo il governo, infatti, il nuovo decreto con la lista dei Paesi sicuri ha applicato correttamente la quella sentenza, cancellando i già presenti Camerun, Colombia e Nigeria perché ritenuti sicuri ad eccezione di parti di territorio, cosa che la vigente direttiva Ue 32/2013 non ammette come i giudici europei hanno detto espressamente. Al contrario, il nuovo decreto ha confermato la designazione di Paesi che presentavano eccezioni per gruppi di persone considerati a rischio, compreso il Bangladesh. Impugnando le decisioni dei giudici di Roma, il governo ha infatti contestato che la Cgue si fosse espressa negando anche questa possibilità. Sulla sentenza Ue, invece, i giudici di Bologna concordano con i colleghi romani: “È stato ritenuto, in particolare, che la designazione non possa avvenire con l’esclusione di alcune categorie personali”. Citando “il rilievo evidenziato dalla Corte che la possibilità di specifiche esclusioni era consentita nella precedente Direttiva, non è più consentita nella Direttiva vigente e ritornerà con specifici limiti nel Regolamento di futura applicazione, sicché si deve concludere che nell’attualità il Legislatore europeo le abbia escluse del tutto”.

La possibilità di escludere categorie di persone è una questione già pendente alla Corte di Giustizia, sollevata dal Tribunale di Firenze. Per evitare altri intoppi, il nuovo decreto legge del governo ha confermato 19 dei 22 Paesi presenti nella precedente lista del 7 maggio 2024, ma stavolta senza eccezioni: “Appare certo che la designazione del Bangladesh, così come di tutti gli altri 18 paesi inclusi nella lista, sia avvenuta senza eccezioni, né territoriali né personali”, scrivono i giudici di Bologna. Secondo il governo, Paesi come Bangladesh ed Egitto, tra gli altri, sono ora Paesi sicuri per tutti i loro cittadini, rimanendo ovviamente salva la possibilità per il richiedente di provare “gravi motivi” per cui non sia questo il suo caso. E tuttavia, come ribadito anche dalla Cgue nella stessa sentenza del 4 ottobre, resta salvo anche l’obbligo del giudice di verificare d’ufficio la legittimità della designazione di Paese sicuro in base ai principi alla base della direttiva 32/2013 “nella parte in cui prevede che la designazione sia legittima soltanto quando «si può dimostrare che non ci sono generalmente e costantemente persecuzioni quali definite nell’articolo 9 della direttiva 2011/95/UE» né rischi reali di danno grave come definiti nell’Allegato I della Direttiva 2013/32/UE”. E siccome la Cgue ha ribadito anche l’obbligo per il giudice di verificare sempre ed ex nunc l’attualità della situazione del Paese in base al singolo caso, Bologna chiede se “la designazione sia consentita anche in presenza di persecuzioni e di pericoli di danno grave diretti in modo sistematico e generalizzato nei confronti degli appartenenti a specifici gruppi sociali, in particolare se la presenza di forme persecutorie e di danno grave diretti generalmente e costantemente nei confronti di un solo gruppo sociale di difficile identificazione, quali ad esempio le persone lgbtiqa+, oppure gli appartenenti a minoranze sociali, etniche o religiose, o le donne esposte a violenza di genere o rischio di tratta, permetta comunque la designazione”. Se la Corte dovesse esprimersi negativamente, l’intero esame della domanda, eseguito in procedura accelerata proprio perché il richiedente proviene da Paese considerato sicuro, perderebbe ogni fondamento.

Nel motivare il quesito, i giudici vogliono “sgombrare innanzitutto il campo da un equivoco di fondo, quello per cui potrebbe definirsi sicuro un paese in cui la generalità, o maggioranza, della popolazione viva in condizioni di sicurezza”. E chiariscono: “Salvo casi eccezionali (lo sono stati, forse, i casi limite della Romania durante il regime di Ceausescu o della Cambogia di Pol Pot), la persecuzione è sempre esercitata da una maggioranza contro alcune minoranze, a volte molto ridotte. Si potrebbe dire, paradossalmente, che la Germania sotto il regime nazista era un paese estremamente sicuro per la stragrande maggioranza della popolazione tedesca: fatti salvi gli ebrei, gli omosessuali, gli oppositori politici, le persone di etnia rom ed altri gruppi minoritari, oltre 60 milioni di tedeschi vantavano una condizione di sicurezza invidiabile. Lo stesso può dirsi dell’Italia sotto il regime fascista. Se si dovesse ritenere sicuro un paese quando la sicurezza è garantita alla generalità della popolazione, la nozione giuridica di Paese di origine sicuro si potrebbe applicare a pressoché tutti i paesi del mondo, e sarebbe, dunque, una nozione priva di qualsiasi consistenza giuridica“. A sostegno della tesi, citano il Conseil d’État francese che “ha ritenuto illegittime le designazioni del Senegal e del Ghana, perché vi è persecuzione delle persone lgbtqia+”, e la Corte Suprema inglese che “ha dichiarato illegittima la designazione della Giamaica in ragione della persecuzione delle persone lgbtqia+”. Spiegando che “secondo i giudici inglesi la nozione di “generale” va riferita dunque non alla generalità della popolazione, ma alla circostanza che la persecuzione non debba essere «endemica» o «sufficientemente sistematica»”.

Proprio per questo, scrivono ancora i magistrati bolognesi, l’esame accelerato della domanda, che presenta tempi e garanzie ridotti, “può trovare giustificazione soltanto quando il paese di origine non presenti alcuna forma di persecuzione diretta contro gruppi sociali minoritari“. E che sarebbe invece “meno ragionevole pretendere che una persona appena giunta nel paese ospitante sia subito in grado di chiarire in che termini sia attinta da rischi persecutori sistematicamente e ordinariamente presenti nel proprio paese”. E dunque, bisognerebbe “escludere la designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro se nello stesso vi sono fenomeni endemici di persecuzione rivolta verso minoranze, anche piccole, della popolazione, in specie se le stesse non siano immediatamente identificabili”. Al contrario, dicono i giudici, il governo avrebbe applicato erroneamente il diritto Ue, valutando i Paesi in base alla condizione della maggioranza della popolazione negli stessi. Scelta che, scrivono, “è carente di base giuridica“. Ma non è tutto. Anche il secondo quesito impatta sulle posizioni del governo, che inserendo la lista dei Paesi sicuri in una norma di rango primario, mentre il precedente decreto interministeriale non lo era, si è detto convinto che i giudici non avrebbero potuto disapplicarla. Alla luce della giurisprudenza, i giudici di Bologna anche di questo dubitano e alla Corte Ue chiedono “se il principio del primato del diritto europeo ai sensi della consolidata giurisprudenza della Corte imponga di assumere che in caso di contrasto fra le disposizioni della Direttiva 2013/32/UE in materia di presupposti dell’atto di designazione e le disposizioni nazionali sussista sempre l’obbligo per il giudice nazionale di non applicare queste ultime, in particolare se il dovere di disapplicare l’atto di designazione permanga anche nel caso in cui la designazione venga operata con disposizioni di rango primario, quale la legge ordinaria”. In attesa che la Cgue risponda, sul caso del cittadino del Bangladesh il Tribunale ha disposto “la sospensione del processo nelle more del giudizio sul rinvio pregiudiziale”.

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