I dati certificano la rottura tra il Paese reale e le organizzazioni ufficiali dei lavoratori
Il grafico ha un andamento quasi orizzontale, senza scossoni nel tempo. E la conclusione è tranchant: solo un italiano su 4 ha fiducia nei sindacati. È il dato più clamoroso che emerge da una ricerca condotta da Swg.
Insomma, qualcosa si è rotto negli anni nel rapporto fra il Paese e i rappresentanti dei lavoratori che pure in questi giorni hanno guadagnato le prime pagine di tutti i giornali per le iniziative intraprese e le parole pronunciate. In queste ore è un susseguirsi di proclami e barricate: oggi scioperano i medici, nel week end i treni, il prossimo 29 novembre ci sarà lo sciopero generale che fatalmente paralizzerà il Paese provocando disagi. Non basta, perché il leader della Cgil Maurizio Landini ha scagliato contro l'esecutivo parole incendiarie, incitando alla «rivolta sociale».
Dunque, i sindacati hanno nella nostra società una visibilità altissima, ma il giudizio del campione interrogato dagli esperti di Swg è assai critico. Non c'è più la fiducia che prima dominava la relazione fra le tute blu e i loro «ambasciatori» presso aziende e datori di lavoro. Certo, a bilanciare questi numeri non proprio lusinghieri ce ne sono altri, in qualche modo di segno opposto: quasi la metà degli italiani, per la precisione il 48 per cento, ritiene che i sindacati abbiano ancora un ruolo importante, ma solo 1 su 3 pensa che lo sciopero generale sia giusto. Di nuovo, un giudizio in chiaroscuro che mostra il logoramento di un'azione, pure così importante e anzi necessaria nella società contemporanea.
Il quesito è semplice: è sacrosanta la protesta forte contro la legge di bilancio? I «sì» sono appunto al 33 per cento, contro un 35 per cento che invece pensa che lo sciopero non sia, in ogni caso, senza nemmeno entrare nel merito delle disposizioni, lo strumento più adatto per far sentire la propria voce.
Il quadro è variegato, come è normale in un paese fortemente polarizzato, con maggioranza e opposizione perennemente sulle barricate.
Il 23 per cento degli italiani sdogana l'espressione «rivolta sociale», che ha innescato polemiche furibonde, il 34 per cento considera il termine «eccessivo e pericoloso». È da notare che fra quelli che accendono semaforo verde a Landini il 44 per cento appartiene all'opposizione. Insomma, per certi aspetti la Cgil viene percepita come un partito che si colloca all'opposizione e non fa sconti all'esecutivo. E però a leggere più in profondità le cifre, si scopre che anche il centrosinistra è spaccato: quel 34 per cento di scettici pesca al 41 per cento dall'elettorato dell'opposizione.
L'impressione generale, dunque è che i sindacati abbiano ancora una collocazione centrale nel paesaggio della società italiana, ma debbano rivedere strumenti e metodi di lotta.
Naturalmente, il più popolare, quello più seguito per il suo carisma, è Landini con il 35 per cento, segue al 29 per cento Pierpaolo Bombardieri, della Uil, e subito dietro Luigi Sbarra della Cisl, con il 28 per cento. Per la cronaca, la Cisl è l'unica delle tre confederazioni che si è dissociata dall'astensione del 29 novembre e pensa che il governo abbia recepito positivamente alcuni suggerimenti arrivati proprio dalla Triplice.
Di qui, l'idea che lo sciopero sia anzitutto politico.
E questo rafforza la convinzione che Landini sia come un segretario di partito, uno dei motori dello scontro con Palazzo Chigi, come se non più di Elly Schlein e Giuseppe Conte. Va osservato a tale proposito che il 29 per cento degli intervistati afferma che «non bisognerebbe incentivare i movimenti di protesta in nessun modo». Qualcuno vorrebbe un sindacato più pragmatico e dialogante.