Politica
di Franz Baraggino | 26 Ottobre 2024
“Sono centri, non dico come un hotel a cinque stelle, ma almeno di tre, molto meglio di certi centri italiani”, ha detto il vice premier e ministro degli Esteri Antonio Tajani, confermando che il governo continuerà i trasferimenti verso i centri che ha costruito in Albania. “La Svezia li manda in Iraq, noi abbiamo deciso di costruire in un paese che è candidato a far parte dell’Unione europea”. Sulla questione dei giudici che hanno invalidato i primi 12 trattenimenti, costringendo il governo a portare in Italia i migranti egiziani e bangladesi, è tornato anche il ministro della Giustizia Carlo Nordio, intervistato nell’ambito del CasaCorriere festival. Il Guardasigilli che ha espresso solidarietà alle giudice Silvia Albano, tra i sei magistrati del Tribunale di Roma che hanno assunto le discusse decisioni e per questo ha ricevuto minacce di morte. “Io quando indagavo sulle Br ne subivo quotidianamente. Ma la critica più severa (alle decisioni sui trattenuti in Albania, ndr) arriva dalla risposta che ha dato una componente della stessa Corte europea di giustizia che ha detto che di quella sentenza nessuno ha capito nulla in italia, che riguarda episodi completamente diversi”.
Di che parla Nordio? La giudice a cui si riferisce è la professoressa Lucia Serena Rossi, fino a pochi giorni fa membro della Corte di Giustizia Ue ma non tra i 15 magistrati che il 4 ottobre scorso hanno pronunciato la sentenza poi applicata dai giudici di Roma per invalidare i trattenimenti in Albania. Accusata dal direttore del Giornale, Augusto Minzolini, di essere la “manina italiana” dietro alla nota sentenza, Rossi ha scritto una lettera al quotidiano per smentire quelle che definisce “tre inesattezze”, a partire appunto dalla sua partecipazione a quel collegio giudicante. La lettera è stata pubblicata venerdì e in merito alla sentenza aggiunge: “Minzolini dice che la sentenza della Corte di Giustizia ha stabilito le linee guida sui Paesi in cui i migranti possono essere rimpatriati. Qui Minzolini è in buona compagnia, perché mi sembra che questa sentenza in Italia non l’abbia capita proprio nessuno. La sentenza, che riguardava un rimpatrio dalla Repubblica Ceca alla Moldavia, in realtà si limita a ribadire che è competenza degli Stati fissare la lista dei Paesi sicuri, aggiungendo che occorre prendere in considerazione tutto il territorio di tali Paesi senza poter escludere zone specifiche e che la lista deve essere riesaminata periodicamente per accertarsi che quei Paesi continuino ad essere sicuri. Spiace però vedere come questa sentenza della Corte di Giustizia sia diventata pretesto per uno scontro fra poteri che travalica i normali rimedi propri di uno Stato di diritto”.
Minzolini risponde prendendo atto e cogliendo l’occasione per sostenere che la lettera dà ragione al governo. “La notizia vera – risponde a Rossi il direttore – è che scrivendo che secondo la sentenza «è competenza degli Stati fissare la lista dei Paesi sicuri», aggiornandola periodicamente, di fatto – non vorrei sbagliarmi – la Rossi dà ragione al governo italiano nella diatriba con la magistratura”. L’indomani il direttore chiede a una delle sue firme di ribadire il concetto ed esce col titolo “L’ex giudice Ue dà ragione all’Italia”. Rossi “ritiene di non dover aggiungere altro“, riferisce l’articolo sul tentativo del Giornale di interpellarla. Minzolini non si scoraggia e l’articolo esce. La questione è la stessa che il Fatto ha trattato più volte e riguarda la direttiva Ue 32/2013 che regola la designazione di Paese di origine sicuro ai fini delle procedure d’asilo. Chi proviene da un Paese considerato sicuro può essere sottoposto a quella accelerata, con minori tutele e garanzia, perché si presume che la sua domanda d’asilo abbia meno probabilità di essere accolta. Trattandosi di un interpello sulla Moldavia, Paese che la Repubblica Ceca considerava sicuro ad esclusione della Transnistria, la Corte Ue ha chiarito che la vigente direttiva non ammette di designare sicuro un Paese per cui si escludono aree di territorio. Più che un’interpretazione della direttiva, hanno spiegato i giudici di Lussemburgo nella sentenza, una semplice lettura del testo della norma, che avendo facoltà derogatorie dell’esame ordinario delle domande non può che essere interpretato in modo “restrittivo” (punto 71 della sentenza).
E’ competenza degli Stati fissare la lista dei Paesi? Questo non è mai stato messo in discussione. Un Paese sicuro diventa insicuro se tale è una sua zona? La sentenza Ue lo dice espressamente. Dice che non si possono designare Paesi sicuri escludendo invece categorie di persone a rischio? Per Nordio e per il Giornale, che arruolano anche la professoressa Rossi, la Corte questo non lo dice e quindi ha fatto bene il governo a mantenere nella nuova lista Paesi come Egitto e Bangladesh da cui provengono anche i 12 trasferiti in Albania e poi liberati dai giudici. Paesi che il governo considera sicuri ad esclusione di alcune categorie che lì sono a rischio. La lettera di Rossi dice che questo è consentito? No. Lo dice la sentenza della Corte Ue? Nemmeno. Ma la sentenza sembra ugualmente fornire elementi in merito, o almeno così hanno ritenuto i giudici di Roma. Come già scritto dal Fatto, la Corte Ue individua l’intenzione del legislatore europeo nella proposta della Commissione europea sulla riforma della precedente normativa. Ed evidenzia come le parti da abrogare siano state espressamente barrate perché non rientrassero nella direttiva attualmente vigente. Tra le parti barrate, oltre a quella che permetteva di escludere parti di territorio c’è anche quella che consentiva l’esclusione di categorie di persone. Visto il richiamo della Corte a un’interpretazione restrittiva, i giudici di Roma hanno ritenuto di applicare lo stesso principio e considerare non sicuri Egitto e Bangladesh in quanto designati con eccezioni, se pure per gruppi di persone. A dire se hanno fatto bene tocca ora alla Cassazione nel merito dei ricorsi presentati dal Viminale contro le loro decisioni perché, ha sintetizzato oggi Nordio, “hanno fatto decreti a stampone ed hanno interpretato come hanno voluto la sentenza della Corte”.
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