Mondo
di Gianni Rosini | 21 Ottobre 2024
È nelle mani del proprio inviato speciale, Amos Hochstein, che gli Stati Uniti hanno consegnato il piano di pace con il quale intendono frenare lo scontro in corso tra Israele e Hezbollah. Il diplomatico americano è così salito su un volo, direzione Beirut, per quella che, dalle indiscrezioni circolate nelle ultime ore sul contenuto del documento, appare sempre più come una mission impossible. Nella capitale libanese incontrerà il primo ministro ad interim Najib Mikati, il presidente del Parlamento Nabih Berri e altri funzionari libanesi, ma l’offerta che porta con sé, frutto di un confronto tra gli Stati Uniti, il governo israeliano e le Israel Defense Forces (Idf), è stata velocemente respinta dal governo di Beirut: trasformare il Libano del Sud in una grande area dove, in nome della propria sicurezza interna, Israele possa svolgere operazioni militari contro Hezbollah.
Il Libano del Sud come una nuova Cisgiordania
Resta difficile da comprendere come Washington abbia potuto ipotizzare di veder accolta una proposta del genere. Solo per fare un esempio, i militari israeliani chiedono il diritto a un coinvolgimento “attivo” in azioni che mirino a evitare il riarmo e la riorganizzazione infrastrutturale di Hezbollah nel Libano meridionale, una vasta regione che si estende dal confine con Israele fino al fiume Awali, così come la libertà per l’aviazione di Tel Aviv di operare nello spazio aereo del vicino. Anche se non specificato in maniera così netta, questa richiesta assomiglia a un lasciapassare che permetterebbe allo Stato ebraico di compiere incursioni, operazioni, attacchi e blitz contro Hezbollah in un’area molto estesa di un Paese sovrano straniero, trasformandolo de facto in un territorio occupato. Una formula, questa, che assomiglia molto a quella che prevede una massiccia presenza di soldati israeliani in alcune aree della Cisgiordania e che permette loro di condurre anche incursioni in città e villaggi fuori dal loro controllo.
Lo smantellamento di Unifil
Un piano del genere prevede inevitabilmente che la missione di interposizione Onu al confine tra i due Paesi, attaccata ripetutamente da Israele che chiede ai Caschi Blu di farsi da parte, venga ridimensionata, se non addirittura smantellata. Non a caso, è stato lo stesso Hochstein a dichiarare che il semplice impegno del Libano e di Israele a rispettare la risoluzione 1701 delle Nazioni Unite, quella che ha implementato la presenza di forze di interposizione sulla cosiddetta Linea Blu, non è sufficiente e che gli Stati Uniti stanno lavorando per elaborare una formula per porre fine al conflitto una volta per tutte. E ha poi lanciato un avvertimento al governo libanese: “Non è nell’interesse” di Beirut legare il proprio destino ad altri conflitti, sottolineando che una risoluzione della guerra tra Hezbollah e Israele è possibile, ma che la situazione è degenerata ed è “fuori controllo, così come temevamo potesse accadere”: “Gli Stati Uniti vogliono porre fine a questo conflitto il prima possibile ed è su questo che stiamo lavorando. Stiamo lavorando con lo Stato del Libano e Israele per trovare una formula per porre fine a questo conflitto una volta per tutte. L’impegno che abbiamo è di risolvere il conflitto sulla base della risoluzione 1701 delle Nazioni Unite”. Ma rispettarla, ha aggiunto, non è sufficiente: “La risoluzione 1701 è riuscita a porre fine alla guerra nel 2006, ma dobbiamo essere onesti, nessuno ha fatto nulla per implementarla. La mancanza di implementazione in quegli anni ha contribuito al conflitto in cui ci troviamo oggi”.
Il ‘no’ del Libano
Inevitabile il rifiuto del premier Mikati, secondo cui non esiste alternativa alla risoluzione 1701 delle Nazioni Unite, anche se non esclude che possa essere implementata con nuove intese. Ciò che è certo, al momento, è che il premier libanese non potrà mai dare il via libera a Israele per svolgere operazioni militari sul suo territorio. Washington e Tel Aviv, almeno a parole, sembrano essere d’accordo: “Se Unifil fa di più, le Idf faranno di meno”, ha detto un funzionario americano vicino al dossier ad Axios. Inoltre, Hochstein chiederà un ampio dispiegamento di militari libanesi nell’area per evitare il proliferare delle milizie di Hezbollah, ben più numerose e meglio armate dei soldati dello Stato.
La fretta americana
Resta da capire cosa ha spinto gli Stati Uniti, più che Israele, a proporre un piano di pace così sfavorevole per Beirut, che prevede una cessione di sovranità e che, quindi, sarebbe anche difficile da giustificare agli occhi dei cittadini libanesi. Non è da escludere che si tratti di un tentativo dell’amministrazione di intavolare una trattativa in extremis prima del voto per le Presidenziali del 5 novembre, arrivando alle urne in un clima meno teso in Medio Oriente. Uno scenario che favorirebbe i Democratici. Ma Kamala Harris non è certo la candidata sostenuta dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu che accoglierebbe invece con molto favore un ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca.