Caro Direttore, trovandomi a Pechino proprio nel periodo in cui gli americani eleggono il nuovo presidente, ti invio questa lettera scritta prima del voto americano perché, nelle discussioni e negli incontri che ho potuto svolgere, ho trovato un’assoluta unanimità di pareri sul fatto che la scelta degli elettori non avrà, di per se stessa, alcuna influenza nei rapporti fra la Cina e gli Stati Uniti.
I più raffinati arrivano a fare qualche distinzione sostenendo che forse esiste in Cina una maggiore avversione nei confronti di Trump perché è stato il primo ad adottare severe misure contro le esportazioni cinesi. Vi è però chi, all’opposto, sostiene che Kamala Harris, nella sua pur breve campagna elettorale, sia stata solo capace di creare le condizioni politiche per isolare Pechino. Aggiungendo che, mentre Trump è irrazionale e imprevedibile, la scarsa esperienza della sua contendente può essere un pericolo ancora maggiore. Questa indifferenza fra i due candidati trova sostegno anche quando si discute sul passato. Tutti i commentatori politici ricordano che è stato il democratico Obama a indirizzare la strategia americana verso l’Oceano Pacifico e sottolineano che i quattro anni di Biden, anch’egli appartenente al Partito Democratico, hanno segnato un progressivo peggioramento nei rapporti con la Cina, anche se le espressioni più aggressive e minacciose sulla politica del Celeste Impero nei confronti di Taiwan sono state invece pronunciate da Trump.
Siamo però sempre all’interno delle sfumature: il giudizio condiviso è proprio quello che ti ho espresso, forse con troppa brutalità, ma che mi sono formato registrando i sentimenti e le riflessioni di coloro con i quali ho potuto scambiare meditate opinioni in materia.
Forse ho peccato di ingenuità nel pensare che le cose sarebbero state diverse anche perché, in perfetta coerenza con l’avversione cinese nei confronti dell’America, l’unico accordo fra Repubblicani e Democratici nella recente campagna elettorale è stato proprio un’identica avversione nei confronti della Cina. Questo sotto ogni aspetto: dal versante politico a quello economico, fino alla sfida diretta per il primato tecnologico e militare.
Tra i due giganti vi è un unico comune obiettivo: la lotta per il primato. Una sfida che, come avviene sempre nel confronto fra gli imperi, si estende in tutti i campi, compreso quello ideologico. Non per nulla nei discorsi dei leader di entrambi i paesi lo scontro tra il valore e l’efficacia dei rispettivi sistemi di governo è cresciuto insieme all’aumento delle tensioni in tutti i settori nei quali è immediatamente in gioco la supremazia.
I VALORI DELLA DEMOCRAZIA
Da parte americana si sottolineano i valori della democrazia, per noi assolutamente incomparabili, e la sua capacità di confrontarsi con la Storia, come nel caso della vittoria nei confronti dell’Unione Sovietica, e quindi si insiste sulla certezza di prevalere anche di fronte al potere assoluto del partito comunista cinese. A questo Xi Jinping contrappone la tesi che sia stato proprio l’indebolimento del Partito Comunista ad avere causato la caduta dell’Unione Sovietica di fronte a un Occidente che pure viene presentato in una fase di fatale declino.
Non sarà quindi il risultato elettorale a cambiare i rapporti tra i due giganti: lo potrà fare invece la semplice constatazione che le tensioni attuali non giovano a nessuno e, soprattutto, che nessuno può vincere in uno scontro globale. Quando infatti si discute sul possibile scoppio di una guerra per Taiwan, i giudizi si fanno più meditati ed emerge la realistica constatazione che questa guerra non la può vincere nessuno e che sarebbe invece più urgente, per l’interesse di entrambi, cercare un accordo fra la Cina e gli Stati Uniti per arrivare ad una pace in Ucraina.
È quindi vero il quadro che ti ho descritto: per i cinesi è indifferente chi vincerà le elezioni di domani, ma è altrettanto vero che, finita la campagna elettorale e con una situazione di potere che molto probabilmente non cambierà per i prossimi quattro anni, i due potenti si siederanno attorno a un tavolo per parlare fra loro. Accordi di questo tipo sono infatti più facili se i rapporti di potere sono stabilizzati. Così avvenne anche nel lontano 1962 quando tutti pensavano che la crisi dei missili a Cuba portasse fatalmente ad una guerra mondiale. Kruscev e Kennedy, che certo non si amavano, capirono che la decisione era tutta nelle loro mani e, ripeto, senza amarsi, arrivarono a un compromesso che, pur con alti e bassi, ha permesso una tollerabile convivenza nella politica globale per molti decenni. Quindi anche se a Pechino non emerge nessuna preferenza fra i due candidati, la sfida elettorale americana ha tuttavia, come conseguenza, che fra poche ore si saprà con chi Xi Jinping sarà obbligato a condividere, almeno per un certo periodo di tempo, le maggiori decisioni sul futuro del nostro pianeta. Non sostengo che comincerà una luna di miele, ma è certo che si creeranno condizioni più favorevoli per arrivare agli equilibri e ai compromessi che sempre sono necessari per evitare di aggiungere altre tragedie a quelle che ci hanno fatto già tanto soffrire in questi ultimi anni.
Trump-Harris, 65 milioni hanno scelto il voto anticipato (ma alcuni sono già defunti)
IL COMPROMESSO
Caro Direttore, mi rendo conto di non averti dipinto un quadro molto roseo della situazione in cui viviamo, ma sono davvero convinto che il compromesso più facile da raggiungere dopo il voto di domani, non tanto come frutto di un miglioramento delle virtù collettive, ma come la semplice presa di coscienza che proprio il compromesso, sempre necessario, sarà fra poche ore anche possibile e conveniente.