Tra una decina di anni, a sciare ci andrà solo chi ha un bel portafogli gonfio. L’allarme arriva dalla Svizzera, ma il caso non è isolato: ormai da anni gli scienziati avvertono del pericoloso binomio tra riscaldamento globale e mancanza di neve in montagna – come dire, sempre meno campi da sci e prezzi sempre più su. Ci aspettano aumenti del 300%, secondo Reto Gurtner, presidente del CDA di Weisse Arena Gruppe, gestore del comprensorio sciistico di Flims-Laax-Falera, nel Canton Grigioni. Già nel 2023 negli ski resort svizzeri di Laax, St Moritz e Zermatt si doveva sborsare circa 98 € al giorno per le risalite. Troppo? Ma no: “Sciare costa troppo poco”, ha chiarito il dirigente all’emittente televisiva svizzera SRF. “Tra dieci anni un ingresso giornaliero a Laax costerà tra i 200 e i 300 franchi”. Sono probabilmente tariffe di altissima stagione, secondo la tv, ma comunque di peso. La pensa diversamente Berno Stoffel, il direttore di Funivie Svizzera, che alla SRF ha detto: “Non credo sia realistico aspettarsi che i prezzi raddoppino o triplichino. Negli ultimi 10 anni abbiamo avuto una crescita media del 15% e pensiamo che si continuerà così”. Ma purtroppo la profezia di Gurtner potrebbe rivelarsi tragicamente vera.
Resort in calo, prezzi in crescita
Se la Svizzera piange, nessuno ride, Italia compresa. Un’indagine di Altroconsumo, pubblicata lo scorso novembre e condotta su 29 ski resort italiani, rivela che “Il costo degli skipass giornalieri e settimanali continua ad aumentare di anno in anno. […] Per quanto riguarda lo skipass settimanale, sempre in alta stagione, per cinque giorni consecutivi, la Regione con i rincari maggiori è il Piemonte con il 14,6%, seguito dal Friuli-Venezia Giulia (+ 13,8%)”, segnala Altroconsumo. Non siamo troppo lontani dal 15% della Svizzera, anche se in Italia una famiglia di 3 persone spende giornalmente un po’ meno per le risalite: 165 €, secondo la rivista. Reto Gurtner spiega l’aumento dei prezzi con l’inflazione, ma anche con la neve scarsa, che riduce le zone di innevamento sicuro e quindi alza le tariffe, rincarate anche dal ricorso alla neve artificiale. All’origine c’è dunque il cambiamento climatico, che fa fondere drammaticamente i ghiacciai, riduce l’innevamento e fa sciogliere in fretta quella poca neve che cade.
Un quadro fosco
A inizio ottobre la stazione sciistica francese di Grand Puy, nell’Alta Provenza, ha deciso di chiudere i battenti dopo 85 anni di attività. A convincere gli abitanti la mancanza di neve, e quindi di turisti, e perdite di centinaia di milioni di euro. Il problema riguarda soprattutto gli ski resort di altitudini medio-basse, colpiti dal cambiamento climatico un po’ in tutto il mondo. In base a un report di Legambiente del 2023, in Italia la mancanza di neve ha costretto alla chiusura ben 249 impianti di risalita, che ora se ne stanno lì arrugginiti a deturpare il paesaggio senza nessun beneficio economico. E nell’attesa di precipitazioni nevose che restano insufficienti, sono a rischio di chiusura altri 222 impianti. Inascoltati, gli scienziati avvertono da anni che il cambiamento climatico ha un impatto anche sulle stazioni sciistiche e sull’economia della montagna. Nel 2017, per esempio, uno studio dell’università del Colorado ha calcolato che entro il 2090 la maggior parte dei resort non potrà più aprire. Prevede chiusure anche uno studio francese del 2023 pubblicato su Nature Climate Change. Gli autori stimano che un aumento di temperatura di 4° C metterà a rischio il 98% dei 2234 ski resort studiati in 28 paesi europei; se l’aumento si limitasse a 2°, a rischio sarebbe il 27% degli impianti. Con simili aumenti, i campi da sci saranno comunque la preoccupazione minore! Lo scorso gennaio è toccato allo studio americano “How climate change is damaging the US ski industry”. Scrivono gli autori: “Fin dalla metà del XX secolo, il riscaldamento nelle regioni montane ha superato il ritmo globale, con importanti implicazioni regionali per gli accumuli nevosi e per l’industria dello sci. […] Il cambiamento climatico è una realtà commerciale in evoluzione, per l’industria statunitense dello sci. Il danno economico è già chiaro e l’ampiezza dei danni futuri dipende dal successo dell’Accordo di Parigi sul clima”. Insomma, o si ferma il riscaldamento climatico o lo sci diventerà davvero appannaggio dei ricchi.
Un nuovo futuro per la montagna
Ovviamente i gestori delle stazioni non stanno a guardare. La risorsa più facile è la neve artificiale, costosa e ben poco ecologica, perché richiede molta acqua ed energia; soprattutto, non è risolutiva: secondo lo studio francese, anche coprendo la metà delle piste con neve artificiale sono a rischio il 71% degli impianti se le temperature salgono di 4° e il 27% con 2° in più. Per cercare di sensibilizzare gli operatori del settore e il pubblico sulla gravità della situazione, di recente la Federazione internazionale dello sci e dello snowboard (Fis) ha preso accordi con l’Organizzazione meteorologica mondiale (Omm). Intanto, molti gestori di impianti sciistici si stanno già indirizzando verso altre attività, come le ciaspolate o lo scialpinismo, ugualmente attrattive e di minor impatto per l’ambiente rispetto agli impianti di risalita – causa di deforestazione – e alle strutture per l’innevamento artificiale, che comportano la creazione di laghi artificiali e di tubature sotterranee per i cannoni. Insomma, andare a sciare sarà davvero sempre più difficile e costoso, ma la montagna ci può riservare alternative altrettanto piacevoli e più rispettose per l’ambiente, verso cui puntano anche maestri di sci e guide alpine.